Poca consapevolezza dell’importanza della protezione dei dati apre la strada alla corruzione, non solo al cybercrime. E’quanto rileva il sondaggio “Cattiva condotta aziendale – conseguenze per i soggetti coinvolti” di EY. In Italia – secondo lo studio – più del 25% degli intervistati non prevede l’identificazione delle terze parti come parte essenziale della anti-corruption due diligence, e più del 50% non analizza il rischio di corruzione specifico per il Paese o per il settore di riferimento prima di effettuare un investimento.
Gli interventi atti a perseguire i responsabili di illeciti risultano essere utili strumenti deterrenti (94%) anche in Italia. Rimane ancora alta la percentuale degli intervistati che ritengono diffuse le pratiche corruttive (56%), dato che però è diminuito rispetto all’indagine dello scorso anno (69%).
Infine, nonostante il sistema delle whistleblowing hotlines sia ampiamente riconosciuto e diffuso, come avviene a livello mondiale, la lealtà verso la propria azienda o verso gli stessi colleghi (per il 16%) ostacola l’efficacia delle segnalazioni nell’individuazione e prevenzione delle frodi e degli atti corruttivi.
“La regolamentazione delle pratiche anti-corruzione si sta concentrando sull’analisi delle terze parti e di conseguenza i business leaders sono sempre più focalizzati sulla conoscenza dei clienti, partner e fornitori con i quali conducono affari – spiega Fabrizio Santaloia, National Leader EY Fraud Investigation and Dispute Services – Inoltre la cooperazione internazionale tra i regulators per combattere frodi e corruzione si sta sempre più rafforzando, ma la percezione di una diffusione delle irregolarità nelle aziende rimane elevata e le organizzazioni continuano ad essere esposte a rischi rilevanti. Una risposta efficace è rappresentata dall’utilizzo delle tecnologie di forensic data analytics, sia per la gestione dei rischi di frode e corruzione sia per rafforzare il livello di compliance all’interno delle aziende”.
A livello mondiale, secondo EY, la crescente minaccia del cybercrime, dei finanziamenti al terrorismo e, più recentemente, la diffusione dell’utilizzo illecito delle giurisdizioni offshore, hanno incrementato la pressione a cui sono sottoposti i governi e le aziende rispettivamente per intervenire ed identificare e mitigare il rischio di frode e corruzione.
Dall’indagine emerge una forte adesione al rafforzamento della trasparenza nel riconoscimento della titolarità effettiva, con il 91% degli intervistati che ritiene importante identificare i proprietari effettivi delle società con cui conducono affari.
Questo, tuttavia, rappresenta solo un aspetto della soluzione di un problema che non sembra ancora risolversi. Il 39% degli intervistati ritiene, infatti, che le pratiche corruttive siano ampiamente diffuse nel proprio Paese, rimanendo in linea con i risultati degli anni precedenti (38% nel 2014 e nel 2012). Sempre a livello mondiale è emerso che il 32% degli intervistati ha riscontrato dei casi di frode e corruzione all’interno della propria azienda.
La minaccia di corruzione per un sistema finanziario già sottoposto a stress è ben nota ai regulators, che stanno sempre più cooperando a livello internazionale per perseguire i responsabili di atti illeciti. In merito, l’83% degli intervistati a livello mondiale concorda sul fatto che ciò aiuti a debellare futuri atti di frode e corruzione.
Tuttavia, considerando che il 42% degli intervistati ha ammesso di giustificare pratiche “non etiche” per il raggiungimento di obiettivi finanziari, e che il 16% dei dipendenti dell’area finanziaria che riporta al CFO ritiene giustificabile pagare delle somme di denaro per aggiudicarsi o mantenere un business, i responsabili della compliance sembrano destinati a riscontrare difficoltà significative nel mantenere le loro aziende dispensate dall’azione delle autorità.
Nei Paesi emergenti alta la percezione che i responsabili di azioni corruttive non siano opportunamente perseguiti; in particolare, il 70% degli intervistati in Brasile e il 56% in Africa e in Europa dell’Est ritiene che, nonostante un effettivo impegno nel perseguire i responsabili di azioni corruttive da parte dei Governi, non ci sia poi un’efficace applicazione del sistema sanzionatorio.
Alcuni indicatori positivi emergono dai Paesi in cui i governi e i legislatori hanno implementato azioni contro tali irregolarità. In India, ad esempio, dove sono stati effettuati interventi per aumentare la trasparenza, la percentuale di intervistati che ritiene che la corruzione sia una pratica diffusa nel Paese è scesa dal 67% del 2014 al 58% di quest’anno. In Cina il 74% degli intervistati ritiene che la l’applicazione della regolamentazione sia efficace.
L’espansione verso nuovi mercati è essenziale per la maggior parte delle aziende, ma porta con sé nuovi rischi da affrontare. Dall’indagine emerge come le aziende risultino poco efficaci nell’intraprendere opportune azioni per ridurre la propria esposizione al rischio:
– 1/5 degli intervistati non prevede l’identificazione delle terze parti come parte essenziale della anti-corruption due diligence;
– 1/3 degli intervistati non analizza il rischio di corruzione specifico per il Paese o il settore di riferimento prima di effettuare un investimento;
– Solo la metà degli intervistati utilizza tecnologie come gli strumenti di forensic data analytics per identificare e mitigare i rischi.
Le segnalazioni rimangono una risorsa critica per acquisire informazioni su presunte irregolarità e dall’indagine risulta che il 55% delle aziende è dotata di strumenti per raccoglierle (whistleblowing hotlines). Il legislatore spesso favorisce questo tipo di strumento e in alcune giurisdizioni, inclusi gli Stati Uniti, si offrono ricompense a chi effettua una segnalazione. Nonostante ciò, non sempre questi strumenti risultano efficaci. In particolare, gli intervistati evidenziano l’esistenza di barriere all’utilizzo delle segnalazioni: la lealtà verso i colleghi per il 18% degli intervistati e la fedeltà all’azienda per il 19%, costituiscono il deterrente principale.