Anticipare la domanda del cliente. Preparare quello che il mercato non sa ancora di volere. Ibm gioca d’anticipo con la carta dello storage flash ad alta performance nei suoi server e sistemi di archiviazione non perché ci sia una domanda montante (anche se il settore è in crescita e in Italia gli ultimi trimestri sono stati sempre in positivo) ma perché è la logica conseguenza.
«È la conseguenza – dicono Paolo Sangalli, direttore System hardware sales e Francesco Casa, manager Storage solutions di Ibm Italia – della trasformazione del mercato: i dati aumentano e quel che si riduce è il tempo per elaborarli. Per questo lo storage deve essere sempre più veloce».
Il settore è complesso, le tecnologie in gioco molte e la competizione forte: in questo momento il segmento archiviazione dati per le imprese vede una accelerazione nelle tecnologie impiegate e nel numero di attori. Ibm ha comprato Texas Memory Systems nel 2013 e utilizza le tecnologie core memory per i suoi nuovi prodotti di storage basato su flash: A9000 e A9000R (la prima, versione modulare, la seconda da rack). Caratterizza l’offerta l’architettura realmente orientata alle memorie allo stato solido super-veloci «Non sostituiamo gli hard disk tradizionali lasciando il resto uguale, con tutti i colli di bottiglia del caso– dice Casa – ma abbiamo riprogettato tutto il sistema per arrivare a una latenza minima di 250 microsecondi, mentre la concorrenza è ferma all’ordine di grandezza dei millisecondi».
Inoltre, dato che la nuova offerta di Ibm è orientata alla semplificazione ed è centrata sul costo per terabyte di storage utilizzato, l’azienda ha utilizzato un sistema di “data reduction” che consente di ridurre il quantitativo di dati realmente salvati nelle celle degli SSD. In pratica, uno “storage logico” da 60, 150 o 300 Terabyte, grazie ad algoritmi sofisticati di deduplicazione e di compressione eseguita al volo (con rapporti fino a 5,6 a 1) e dall’altra uno “storage fisico” basato sui banchi di memoria flash (12 banchi da 1,2 Terabyte fisici nel modello da 60 TB logici, pari a 14,4 TB fisici; 34,8 terabyte fisici per quello da 150 TB logici e infine 68,4 TB fisici per quello da 300 TB logici).
L’offerta di questa soluzione rientra in un quadro più ampio volto alla semplificazione e potenziamento dell’offerta storage, orientata sempre più verso il paradigma del software defined storage: Ibm prevede che i propri clienti possano utilizzare soluzioni on premises, di cloud privato, di cloud ibrido oppure anche soluzioni di cloud pubblico. Per l’archiviazione dati on premises, cioè nel datacenter del cliente, Ibm prevede che si possano usare le tecnologie di storage basate su questa soluzione ultra-veloce e poi su quelle basate sulle nuove unità a nastro che consentono di vedere in maniera trasparente i dati che vengono gestiti. È la prospettiva del “Flape”, ibrido Flash-Tape (unità di archiviazione a nastro) per spostare i dati dall’accesso super-veloce a quello super-lento ma molto più economico, seguendo l’idea che i dati che invecchiano diventino sempre più un costo e sempre meno una opportunità per l’azienda.
In pratica: spostare i dati attraverso tecnologie diverse nel datacenter (dal flash al nastro) e tra e verso cloud diversi senza soluzioni di continuità, grazie alle nuove tecnologie intercloud.
Senza contare che nel futuro l’utilizzo delle soluzioni di business analitycs richiederanno l’utilizzo non solo dei dati raccolti in azienda ma anche di quelli provenienti da fonti esterne, che dovranno poter essere analizzati per trovare “insights” sulla visione di business aziendale.
A tendere Ibm vuole portare la potenza del Flash anche sui suoi server mainframe di fascia alta.
Intanto, se oltre all’utilizzo del cloud ibrido Ibm che si basa su SoftLayer, i clienti vogliono utilizzare anche altre soluzioni storage, Ibm offre una soluzione gateway intercloud (che l’azienda chiama Multi Cloud Store) e che consente di spostare i dati tra nuvole di fornitori diversi. Se invece si vuole restare nel perimetro di Big Blue, l’azienda ha una nuova offerta scalare pay-per-use a base mensile sull’unità del terabyte che permette di utilizzare sei moduli di tecnologie diversi, che diventano gratuiti quando sono usati su progetti aziendali non in produzione.
L’evoluzione del mercato, sostiene Ibm, sta subendo una forte accelerazione. È richiesta da parte delle aziende la semplificazione della gestione dei processi, la velocità che consenta al business di non subire i rallentamenti dettati dalla tecnologia, costi accessibili con una maggiore efficienza. Una trasformazione che sta spostando sempre di più anche gli interlocutori in azienda: Ibm, dopo aver venduto la divisione server x86 a Lenovo e aver però potenziato l’evoluzione di quella mainframe e basata su Power, con forti investimenti anche nel settore storage, sta cercando di identificare clienti che non appartengano più solo alla divisione IT delle aziende ma anche alle linee di business.
«La filosofia – spiega Ibm Italia – è basata su soluzioni integrate se i nostri clienti vogliono avere sia il nostro hardware che software, solo su software basato su standard aperti se invece l’obiettivo è utilizzare altre dotazioni hardware pre-esistenti, e cloud services con formula modulare. In fondo, si tratta di consentire loro di salvaguardare gli investimenti fatti sino ad ora e creare i presupposti per nuovi investimenti altrettanto durevoli nel tempo».
Alla fine, il traguardo nell’immediato è quello di andare verso il cognitive computing, cioè una rivoluzione dell’IT che ha come pilastri l’idea dell’automatizzazione del cognitive computing il quale, a sua volta, dà la possibilità di comprendere il mondo. «La fondazione nata due anni fa – dice Sangalli – adesso ha più di 200 partecipanti. Lo sviluppo del cognitive business procede velocemente. È, con il ritorno alle piattaforme di cloud ibrido, una evoluzione importante in cui Ibm ha un ruolo centrale».