TECNOLOGIA

Rivoluzione 5G, chi frena la corsa dell’Europa?

L’Italia fra i Paesi che più rischiano di far perdere il treno dell’Internet of Things. Insieme a Grecia e Romania. E’ il “j’accuse” che emerge dalla Commissione Ue, raccolto da un’inchiesta di Politico. Il grande nodo dei 700 Mhz. Roberto Viola “ambasciatore” in cerca di soluzione

Pubblicato il 11 Mag 2016

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Nel mondo della tecnologia e delle Tlc la sigla che va per la maggiore è 5G. Il grande salto alla “quinta generazione” delle connessioni permetterà, fra le altre cose, alle auto di guidare da sole e alla Tv in alta definizione di trasmettere in diretta perfino dentro la metropolitana. Il mondo intero sta correndo incontro alla nuova tecnologia che si configura come una formidabile leva economica. L’Internet of Things potrebbe portare 330 miliardi di euro nelle casse europee entro il 2020: e 8 miliardi sarebbero generati solo dalle connected car, secondo il Boston Consullting Group. Attenzione però: l’Internet delle cose – e dunque anche self driving car, smart car ecc – non funziona senza il 5G. E il 5G non si fa senza che i Paaesi europei siano tutti perfettamente sincronizzati su certi campi: data roaming, privacy e, prima di tutto, armonizzazione dello spettro radio.

E’ proprio questo lo scoglio maggiore. La buccia di banana che potrebbe far rischiare all’Europa di perdere l’ennesimo treno sul terreno della tecnologia, lasciando il premio in mano a Usa e Cina. Per esempio far partire il 5G comporta che tutti i 28 Paesi implementino in modo sincronizzato gli stessi standard sulle stesse frequenze: un’operazione impossibile da realizzare uniamente a livello nazionale, in un blocco come quello europeo che ha rimosso la maggior parte degli ostacoli al flusso di merci e persone. Per questo serve un’azione concertata, uno Shengen digitale.

E la “buccia di banana” non è rappresentata dalla volontà degli imprenditori o dei principali investitori. Ma dalla politica. “L’Italia è il problema” scrive il giornalista Chris Spillane su Politico, riportando il commento di un alto funzionario della Commissione Ue.

I riflettori della Commissione Ue sono puntati sulle frequenze che vanno dalla 694 MHz alla 790 MHz. Attualmente in uso da parte delle emittenti televisive per i canali free-to-air. Sacrificare quella banda ridurrà la quantità di spettro a disposizione delle emittenti TV digitali: problematico, per paesi come l’Italia, scrive Politico, dove le Tv sono in numero enormemente superiore a quelle di altri Paesi. In più, nota Politico, alcune licenze per lo spettro dureranno fino 2032.

Ambasciatore su questo tema presso i Paesi Ue è Roberto Viola, “l’italiano che guida i 1.000 dipendenti pubblici presso la Commissione DG Connect, che per mesi ha viaggiato in Europa in cerca di consenso”. Viola starebbe incontrando la resistenza dell’Europa meridionale, dove i potenti interessi italiani vengono appoggiati da Grecia e Romania, riuniti in un blocco che cerca di ritardare la liberazione dello spettro fino a dopo il 2022.

L’Italia non è la sola nella richiesta di tempi supplementari. La maggior parte dei Paesi, secondo la ricostruzione del sito, vuole ritardare il trasferimento. Nazioni che confinano con Paesi non UE sono preoccupati perché dovranno rinegoziare gli accordi per l’uso dello spettro lungo le frontiere, dove si rischia sovrapposizione. La Finlandia, ad esempio, avrà bisogno di trovare un nuovo accordo con la Russia proprio in un momento in cui le relazioni tra l’UE e Mosca non vanno lisci.

Finora, solo la Francia, la Germania e la Svezia stanno rispettando i tempi per la scadenza del 2020. Danimarca, Finlandia e Regno Unito hanno già elaborato i piani per lo spostamento di banda.

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