Big Data è ormai il mantra di tutti i dibattiti e le discussioni degli ultimi tempi, qualunque sia l’oggetto, ma pochi in realtà sanno esattamente di cosa si tratta e come funzionano.
Abbastanza interessante in questo senso è l’approccio di Netflix, un operatore che fa come noto uso massiccio dei dati, sia per decidere su quali prodotti investire e modellare le proprie offerte, sia per meglio attrarre e soddisfare la domanda da parte dei tanti abbonati ai propri servizi.
Ormai presente dallo scorso gennaio in 130 paesi del mondo, la società di Reed Hastings ha pensato bene di sfatare alcuni dei luoghi comuni più sfruttati, come ad esempio l’uso segmentato dei dati demografici legati al sesso, all’età e al paese.
Al contrario, gli spettatori sono raggruppati in “cluster”, definiti quasi esclusivamente sulla base dei gusti comuni e le loro identificazioni su Netflix evidenziano una porzione minima di contenuti che si adatta ai loro profili. Questi potrebbero essere gli stessi per un individuo di Roma così come per uno di Melbourne (anche se, probabilmente, avrebbero accesso a library in parte diverse).
Netflix sembra aver applicato una delle leggi più consolidate in sociologia e psicologia, e cioè che in generale la variazione all’interno di un gruppo sociale è molto più ampia della differenza collettiva tra due gruppi qualsiasi. Dunque se si vuole, ad esempio, fare in modo che aumenti lo streaming dei propri contenuti, sarebbe meglio sfruttare le proprie conoscenze su individui simili in gruppi demografici completamente diversi e solo successivamente provare a disegnare un quadro più ampio e segmentato.
Ad esempio, a detta della società, il 90% del volume totale di streaming di un genere tipico di quel paese come le anime non proviene dal Giappone. Questo perché quanto piaccia questo genere non è determinato tanto dalla nazionalità, ma dall’attitudine verso il prodotto, in particolare se l’utente è un nerd.
Si tratta di una lezione di notevole importanza di cui tener conto da parte delle imprese e l’emergere di una realtà molto diversa per quanto riguarda la profilazione dei consumatori. Nell’era dei big data, proprio il profilo dei consumatori non può più basarsi su macro-categorie consolidate, ma richiede l’uso di algoritmi basati su criteri più sofisticati.
In questo senso, non sono i big data in sé il valore reale delle aziende, ma la capacità di utilizzarli nella maniera più conveniente ed efficace. Per individuare i consumatori che desiderano quello che si vuole offrire, occorre andare oltre la superficie e le categorie tradizionali, toccare le loro corde e capire le loro motivazioni più profonde.