«Mettiamoci nell’ottica nel cittadino-utente: perché dovrebbe fare lo Spid?». Con Greta Nasi, docente presso il Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico e direttore dell’Area Public Management & Policy della SDA Bocconi, ci domandiamo quale utilità può avere l’utilizzo del sistema pubblico di identità digitale.
Ce lo dica lei: perché dovrebbe farlo?
Guardi, rispondo anche un po’ causticamente. Ad oggi un cittadino non trova un’utilità immediata a farsi un’identità digitale, perché l’enfasi che il governo ha messo sul progetto è ancora squisitamente tecnologica e non sul valore generato.
In che senso?
Nel senso che ancora non si è ben capito a cosa serva. È vero, ci sono circa 300 servizi pubblici disponibili. Ma quali sono e quanto vengono usati dai cittadini? Al progetto ha già aderito qualche Regione- Friuli Venezia Giulia, Toscana ed Emilia Romagna – ma quante prestazioni arrivano direttamente al cittadino? Poche: al massimo il Fascicolo sanitario elettronico che, però, non c’è tra i servizi fruibili via pin unico. Senza contare le difficoltà che si incontrano per richiedere lo Spid.
Troppo complicate le modalità scelte dai provider?
Ho trovato difficoltà io che possono reputarmi un utente esperto, immagino per cittadini meno “digitalizzati”: c’è un evidente problema di accessibilità. Quindi, ripeto, perché il cittadino dovrebbe farsi lo Spid?
Non serve Spid allora?
Chiariamo un punto: sia Spid sia l’Anagrafe Unica della popolazione sono requisiti tecnologici e di interoperabilità essenziali per creare una piattaforma unica di servizi pubblici online, ma finché non si spiega ai cittadini la convenienza i progetti rischiano di fare flop.
Come evitare il rischio flop?
Serve la politica. Serve un un’idea di Paese o meglio di quello che il Paese può diventare – più semplice, più competitivo, più innovativo – sfruttando le opportunità dello Spid come di altri progetti strategici. Opportunità che sono, sì, di semplificazione e di buon funzionamento della macchina amministrativa ma anche di occupazione, di creazione di nuovi posti di lavoro qualificati. Se si riesce a fare questo allora identità digitale e Anpr saranno driver di innovazione.
Tra i vantaggi di Spid, oltre quelli che dovrà generare per cittadino e PA, c’è la spinta che possono dare al mercato ad investire in alta tecnologia. Penso alle risorse messe in campo da “campioni” come Poste e Telecom. Lei che idea si è fatta in proposito?
Viene da sé che quando si spingono gli investimenti in innovazione il Paese ha tutto da guadagnare. A mio avviso il tema non è tanto questo – ben vengano gli investimenti di Poste e Telecom – quanto, ancora una volta, l’impatto che questi hanno sulla vita del cittadino. Mi spiego: ci sono tre soggetti che rilasciano Spid, ci hanno però speigato cosa succede semmai uno di questi – non dico che fallisca – ma, quanto meno, non trovi più profittevole essere provider? Che fine fanno i dati dei cittadini e i pin?
E dunque?
È necessario che la ownership dei dati resti nelle mani delle autorità pubbliche sia per motivi di sicurezza sia di accessibilità. Il cittadino non deve rifare tutta la procedura per avere uno nuovo Spid, altrimenti la semplificazione dov’è? E sempre sulla semplificazione c’è da evidenziare il tema delle ridondanza degli strumenti.
L’obiettivo è far sparire tutte le smart card – Cns e Cie – perché si dovrà accedere alla PA solo tramite Spid.
Sì, l’obiettivo è questo. Ma voglio sapere quali sono i tempi previsti per la “sostituzione” e cosa succede ai dati del cittadino al momento della transizione. Altrimenti il rischio è che si metta in campo la solita innovazione incrementale che aggiunge un pezzettino di tecnologia nella PA, senza modificare processi e servizi.
Per chiudere il cerchio della cittadinanza digitale si lavora alla creazione dell’Anagrafe unica. Come giudica il progetto?
Si tratta di un progetteo essenziale. Andava fatta 20 anni, è comunque bene che si faccia adesso.
Però?
Anche qui rilevo un approccio tecnologico, senza attenzione alle finalità organizzative e strategiche dell’Anpr, che potrebbe avere impatto anche nella definizione delle architetture e sull’interoperabilità dei dati nonché sugli usi futuri. Il punto è che la banca dati nazionale deve andare oltre l’automazione.
In che direzione?
Sulla via delle generazione del valore per le pubbliche amministrazioni e la qualificazione del personale pubblico. Aspetti questi ancora poco evidenziati.