“Quando si parla di industria 4.0 si punta sempre sull’impatto economico che deriverà dalla digitalizzazione nei processi produttivi, o sull’impatto tecnologico, tra prodotti smart e novità hi-tech. Molto meno esplorato è il campo dei cambiamenti per il mondo del lavoro, dove si stanno gradualmente introducendo elementi destinati a modificare profondamente i processi produttivi”. A parlare è Annalisa Magone, presidente e amministratore delegato del centro studi e di consulenza “Torino Nord Ovest”, che ha da poco dato alle stampe insieme a Tatiana Mazali il volume “Industria 4.0. Uomini e macchine nella fabbrica digitale” (ed. Guerini).
Magone, quali sono gli elementi principali che sono emersi dal vostro lavoro?
Attraverso la fotografia che abbiamo scattato visitando e toccando con mano la situazione in molte fabbriche italiane si può arrivare a capire il cambiamento sui lavoratori e come garantire l’aggiornamento delle loro competenze. Ci siamo accorti che, per quanto il cambio di paradigma introdotto da industria 4.0 sia effettivamente dirompente, è in ogni caso il punto di arrivo di una trasformazione graduale, che ha molto a che vedere con la concezione organizzativa della fabbrica post fordista.
Quale sarà il punto di arrivo di questo processo?
Industria 4.0 mette a disposizione soluzioni tecnologiche che permettono di realizzare cambiamenti a lungo teorizzati e finora mai pienamente realizzati. È la trasmutazione dell’informatica nel “digitale”, infrastruttura che sta sotto alla produzione, e permette alla produzione di integrarsi non solo in verticale sul singolo processo, ma anche in orizzontale, tra processi. Un modello che rende possibile la comunicazione tra uomini, tra macchine e uomo-macchina, in un processo diventa più snello, efficiente, finalizzato ad accorciare il time to market. Per questo c’è bisogno di strumenti di Ict estremamente potenti, che consentano di analizzare i dati man mano che vengono prodotti e interpretarli mentre il processo è in corso, rendendo circolare la comunicazione, con il dato analizzato che corregge il processo in tempo reale.
E il lavoratore? Come cambiano le sue mansioni e le sue competenze con la quarta rivoluzione industriale?
Stiamo assistendo alla nascita del “blue collar aumentato” e dell’ingegnere “di nuova concezione”. Oggi la figura dell’operaio artigiano così come quella dell’operario di linea risulta potenziata, perché ha imparato a comunicare in maniera efficace e produttiva, a gestire non più una sola macchina, ma una serie di macchinari estremamente complessi. La sfida è inserire i giovani, spesso già formati nel campo delle tecnologie digitali, fra gli “esperti”, costruendo l’amalgama tra chi detiene la competenza di settore e chi detiene la competenza della comunicazione.
E l’ingegnere “di nuova concezione”?
Lo abbiamo chiamato così perché assomma due specialità fino a qualche anno fa tenute distinte: da un lato chi si occupava di progettazione, dall’altro chi faceva calcoli e verifiche. Ma i nuovi e potenti strumenti di assistenza al design consentono in poche ore di fare verifiche strutturali che prima richiedevano settimane di lavoro. Così all’interno delle aziende gli ingegneri si dividono in due nuove sottocategorie: chi si occupa di ricerca e sviluppo, tenendo i rapporti con gli atenei nelle discipline base. E chi disegna il processo di fabbrica, sempre più in maniera virtuale, facendo simulazioni sui flussi e sull’impiego del fattore umano. E poi c’è una nuova figura professionale mista, che inizia ad affermarsi, quella di chi si occupa di “mettere intelligenza” nelle macchine, che deve saper utilizzare efficacemente dati che provengono da un flusso in cui trovano posto i sensori e l’esperienza umana.
Come si caratterizza l’Italia nel campo della manifattura digitale rispetto al resto d’Europa?
La Germania è in questo momento il Paese più strutturato su industria 4.0, di cui si mette in evidenza soprattutto la potenza industriale. In realtà la forza dell’approccio tedesco sono le scelte di politiche industriali legate a doppio filo con le politiche della ricerca, dell’educazione e della formazione. Anche la scuola in Germania ha fissato obiettivi sfidanti per educare e qualificare la forza lavoro, anche femminile. La strategia della Francia è invece più recente, e adatta alle condizioni locali alcune delle esperienze maturate in Germania. In più c’è un’alleanza per l’open innovation che affronta il tema di incentivare l’innovazione promuovendo relazioni sistematiche tra il mondo delle giovani imprese, le startup, e le grandi corporation dove è più difficile introdurre le novità. Per l’Italia è il momento di scegliere e di trovare la propria via, facendo tesoro delle esperienze di Francia e Germania ma anche delle raccomandazioni che vengono dall’Europa, che chiede che le soluzioni tecnologiche vengano ritagliate sulle esigenze delle Pmi, dove l’innovazione deve penetrare in tempi rapidi, se si vuole mantenere il passo con gli Stati Uniti e con la Cina.