LA RICERCA

Sharing economy: crescita col freno a mano, ma il boom è vicino

I dati Tns: 1 italiano su 4 già usa servizi in condivisione. Nell’ambito della mobilità il 47% degli utenti aumenterà l’utilizzo mentre nel settore scambio di alloggi lo farà il 40%. Le barriere da rimuovere? La difficoltà a fidarsi e la mancanza di regole chiare

Pubblicato il 20 Mag 2016

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La crescita della sharing economy in Italia è una crescita con il freno a mano. Da un lato vi è un’alta propensione del cittadino a provare e usare servizi in condivisione, dall’alto, sia dal fronte dell’offerta e sia da quello delle istituzioni, gli attori del sistema sono però un po’ al palo. Il consumatore è ben più avanti delle imprese e delle istituzioni, ancora una volta, in quanto ci mostra un insieme di possibili utilizzi e di motivazioni della sharing economy molto vasti, solo in parte colte dagli attori attuali”. Lo ha detto Federico Capeci, Cdo & Ceo Italia di TNS, società che offre consulenza su strategie di crescita per innovare il posizionamento dei brand, aprendo al Ferrara Sharing Festival la tavola Rotonda dedicata a “Le nuove piattaforme: servizi, prodotti, processi”.

Durante la tavola rotonda è stato presentato uno studio di Tns sulla sharing ecnomy, da cui è emerso che il risparmio economico è una motivazione per il 41% degli utilizzatori, ma non è l’unico motivo per dare e chiedere servizi in sharing: ci sono utenti mossi da desiderio di condivisione o da motivi di solidarietà, utenti mossi dalla volontà di fare un’esperienza di uso più ricca ed emotivamente più coinvolgente, altri mossi dalla voglia di fare impresa o di sperimentare nuove pratiche.

In Italia, emerge dallo studio, la sharing economy è conosciuta dal 70% della popolazione. Un Italiano su 4 la utilizza e la prospettiva è di ulteriore crescita: la maggior parte dei non utilizzatori sono propensi all’uso futuro (22%) o necessitano di maggiori informazioni (18%). L’elemento non è di poco interesse: anche fra gli utilizzatori, un 10% di intervistati dichiara di usare alcuni dei servizi suggeriti, ma non li associa spontaneamente al mondo “sharing”. Una Comunicazione più efficace e specifica sarà dunque necessaria a queste realtà se vogliono attrarre un maggior numero di utenti.

Fra i servizi utilizzati, gli Italiani fruiscono di Servizi di mobilità (26% varie tipologie dalla mobilità collettiva alla condivisione costi di viaggio, a servizi forniti da aziende in abbonamento), Servizi organizzati di scambio e baratto di oggetti di vario tipo (10%), Servizi di alloggio di una camera o casa private (9%), Servizi culturali (8%), Servizi di Social lending, prestiti fra privati (4%).

L’esperienza di utilizzo dei servizi di sharing porterà ad una intensificazione dell’uso: chi lo prova, dichiara che lo userà di più in futuro: nell’ambito della mobilità il 47% aumenterà l’utilizzo di questo tipo di servizi, nei Servizi di Alloggio, un 40%: segno comunque di soddisfazione nella fruizione.

Le principali barriere che oggi ostacolano l’utilizzo di questi servizi sono la difficoltà a fidarsi e la mancanza di regole chiare e garanzie nell’utilizzo.

“Quello che vediamo da un punto di vista delle tutele e degli inquadramenti fiscali, assicurativi e sociali – sottolinea Capeci – è che le istituzioni sono al palo di fronte a questa crescente complessità e come risultato, stanno frenando l’esplosione di quella che potrebbe essere una leva di crescita di assoluto rispetto per il nostro paese”.

“Dal lato dell’offerta – conclude Capeci – le proposte non sono in grado di seguire l’ampia gamma di opportunità, segmenti e servizi con chiari posizionamenti e benefit concreti per l’utente. La visione da parte dei Player dovrebbe mettere al centro l’utente, ascoltarlo per valutarne aspettative ed esperienze concrete, in un continuo processo di finetuning ed ottimizzazione della proposta e della comunicazione. Gli utenti sono aperti all’utilizzo di nuovi modelli di business, come testimonia l’elevato livello di conoscenza dei servizi in condivisione ed anche la propensione all’uso in futuro, considerando che solo il 5% degli intervistati si dichiara non interessato a questa tipologia di servizi”.

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