Marco Icardi (Sas): “Il tesoro dei big data a servizio dell’execution”

La rivoluzione 4.0 tocca industria e PA allo stesso modo: i due settori collaborino all’insegna dello sharing e dell’innovazione. La chiave di volta? Investimenti e competenze

Pubblicato il 31 Mag 2016

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Se l’economia odierna è per definizione l’economia dei dati, la Pubblica amministrazione si trova nella posizione ideale per cavalcarne tutte le opportunità e estrarne grandi benefici – con la collaborazione, magari, di partner tecnologici del settore privato capaci di potenziare la capacità di innovazione del pubblico. Ne abbiamo parlato durante il recente Forum PA di Roma con Marco Icardi, Amministratore Delegato di SAS Italia, parte della multinazionale degli analytics che, con analytics innovativi, software e servizi di business intelligence e data management, “aiuta le aziende a prendere decisioni migliori in tempi brevi”. Nel nostro paese SAS ha una struttura di oltre 330 persone operative nelle sedi di Milano, Roma, Mestre, Torino e Firenze

La PA possiede una quantità enorme di dati sui cittadini. Quanto conta questa risorsa oggi in ottica di rinnovamento?

La PA sa tutto di noi: un vero tesoro di Big data. Ma questi valgono solo se dai dati si estrae valore. I dati sono il supporto, la struttura nervosa, dell’economia a patto che vengano correlati e se ne estragga conoscenza utile a prendere decisioni che servono il nostro business. Il dato di per sé ci dice poco: acquista rilevanza nel momento in cui è analizzato, contestualizzato e messo a servizio dell’execution. Ovviamente nel rispetto della privacy e della sicurezza.

Valorizzare i dati è un compito che accomuna pubblico e privato. Le amministrazioni diventano più simili a delle imprese?

Certo, il concetto si applica potenzialmente a ogni settore, ognuno con le sue specificità, ma l’analisi dei Big data porta valore sia nell’industra che nella PA. Nel privato parliamo di Industria 4.0, che permette di servire meglio i clienti personalizzando al massimo i prodotti; con la PA che entra nella fase 4.0, si apre la porta a una personalizzazione dei servizi. Questo consente alle pubbliche amministrazioni di essere più efficienti, aumentando il valore della propria offerta e riducendo i costi.

A che punto siamo in Italia?

Molto è già stato fatto per rinnovare la PA, che oggi usa moltissime piattaforme automatizzate, dal controllo sulla spesa alla lotta all’evasione, ma un salto ulteriore si può fare proprio nell’ambito dei servizi, come la sanità. Oggi la tecnologia permette il monitoraggio remoto dei pazienti cronici e questo migliora la prestazione erogata e la qualità della vita del paziente e riduce affollamento e costi per le strutture pubbliche. Un servizio del genere si basa su una combinazione di elementi, come la rete in banda ultra-larga, le tecnologie di elaborazione dei dati in tempo reale, le competenze. Le tecnologie ci sono, sulla banda ultra-larga il governo ha varato un piano concreto.

E le competenze?

E’ l’elemento da potenziare. Anzi, per me è su questo aspetto che si gioca l’evoluzione verso il 4.0, perché la banda larga e le tecnologie senza le persone non sono sufficienti. Oggi si parla molto di disoccupazione giovanile ma gli ultimi dati di Assolombarda hanno messo in evidenza come ragazzi e ragazze qualificati raramente hanno difficoltà a trovare lavoro. Anche per questo SAS collabora con università e centri di ricerca e apre le porte ai giovani in azienda mettendoli in contatto con i propri partner: occorre colmare il gap di competenze digitali, nel pubblico come nel privato, e collegare meglio mondo della formazione e della ricerca con impresa e mercato. SAS ha anche iniziative di e-learning, perché anche chi è già nel mondo del lavoro possa aggiornare le competenze e tenersi al passo con le rapide evoluzioni della tecnologia.

Quanto è importante questa attività di condivisione del proprio know-how?

E’ un altro pilastro dell’economia 4.0: condividere conoscenza e parte dei processi produttivi è fondamentale per far marciare l’economia digitale. Nessuna azienda privata può più permettersi di isolarsi, anche perché nell’economia digitale le tradizionali linee di separazione tra settori verticali spesso non valgono più e un settore sconfina nell’altro. Solo un esempio: in Uk, la più grande banca retail è la Tesco Bank, ovvero l’istituto finanziario del colosso dei supermercati.

Anche le amministrazioni pubbliche devono dialogare meglio tra loro e scambiare dati e conoscenze?

Certo; anzi, con un passo ulteriore, pubblico e privato devono venirsi incontro e collaborare come mai accaduto finora: il privato può introdurre innovazione nel pubblico, il pubblico stimolare nuovi mercati.

Spesso l’Italia risulta la “ritardataria” nelle classifiche del digitale. Riusciremo a recuperare rapidamente?

Io sono ottimista. L’Italia ha alcune caratteristiche che le facilitano il compito di sfruttare l’occasione creata dall’economia digitale, come un’imprenditorialità diffusa e capacità di fare sistema a livello locale, e l’eccellenza nella ricerca: per esempio, siamo primi in Europa per brevetti nella sensoristica, abbiamo centri e enti all’avanguardia come il Cnr e l’Asi e, in ambito Big data, a Pisa è stata aperta l’anno scorso l’infrastruttura SoBigData per la ricerca sui grandi dati e il social mining, con fondi europei legati a Horizon 2020. Per fare un ulteriore scatto in avanti occorre aumentare la collaborazione su scala nazionale, potenziare le competenze digitali per passare dalle piattaforme nuove ai servizi nuovi e stimolare gli investimenti. Si potrebbe pensare anche a laboratori di innovazione per sviluppare le competenze nel nostro paese, trattenere i cervelli e portare valore a tutti.

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