Per usare una frase cara ai matematici (e anche a noi ingegneri) – le infrastrutture sono una condizione necessaria ma non sufficiente. Ci devono essere – adeguate e moderne – ma non bastano, da sole, a trasformare e modernizzare la nostra economia. Quello che in questo momento serve all’Italia è semplice: un elettroshock culturale. Sì, perché il nostro vero gap (o digital divide che dir si voglia) è culturale. A tutti i livelli. A livello di manager, imprenditori e funzionari pubblici, che hanno – in media – ben poca consapevolezza dell’importanza (anzi necessità) di investire massicciamente sull’innovazione digitale delle loro imprese e pubbliche amministrazioni (e lo dimostra il fatto che siamo tra i Paesi con un tasso di spesa Ict sul Pil tra i più bassi).
Ma anche a livello di accademici, professori, giornalisti, politici, che hanno – sempre mediamente – ben poca sensibilità sulla trasformazione digitale in atto e quindi la considerano ben poco nella loro attività quotidiana – insegnare, divulgare, governare. Non sono, tuttavia, pessimista. Vedo oramai che anche nel nostro Paese un circolo virtuoso si è innescato: maggiore attenzione da parte dei politici sui temi del “digitale”, maggiore conseguente copertura dei media con effetto diffusione sulle persone, maggiore attenzione degli “educatori” a tutti i livelli (dalle scuole primarie alle università alle business school), maggiore interesse da parte dei decisori aziendali e della pubblica amministrazione. Non sarà un elettroshock, ma un lento, graduale, cambiamento culturale è in atto anche da noi.