Dopo i piani, apprezzabili, è certamente il momento di passare dalle parole ai fatti. È quantomeno dovuto ad un Paese che non vuole più essere un follower, avendo le energie e le competenze per essere tra i leader. Una volta che avremo una rete in fibra e 5G ovunque, potremmo dirci per questo un Paese digitale? No, dobbiamo fare un salto ancor più impegnativo: organizzare fabbriche digitali, una scuola digitale, acquisti digitali, una PA digitale, città digitali.
Per questo dobbiamo già ora cominciare a pensare digitale, a stimolare una cultura del digitale che veda nelle nuove reti a banda ultralarga il tessuto connettivo di una nuova società. In parallelo alle infrastrutture digitali, dobbiamo avviare una vera rivoluzione culturale, con processi di alfabetizzazione informatica e scientifica, di contaminazione culturale a tutti i livelli della popolazione, di revisione dei processi di lavoro e delle organizzazioni. In altri termini, dobbiamo dare vita a ecosistemi digitali, qualificati per tipologia di produzione, interconnessi ed aperti all’innovazione e collaborazione, che uniscano competenze, esperienze e tecnologie produttive differenti, con un forte legame con università e laboratori di ricerca.
Collaborando con questo ecosistema dell’innovazione, le numerose e brillanti Pmi italiane, di qualunque settore tecnologico e merceologico, potranno coniugare il meglio del made in Italy con le tecnologie più innovative, contribuendo alla capillare diffusione nel Paese e nel mondo di nuovi servizi e prodotti, in un processo di crescita ed evoluzione digitale della nostra società.