Il commissario europeo Margrethe Vestager ha annunciato il 20 aprile l’apertura di una procedura per abuso di posizione dominante nei confronti di Google per accordi anti-competitivi relativi al suo sistema operativo Android. È un nuovo caso Microsoft, condannata per pratiche finalizzate a estendere la dominanza di Windows all’attiguo mercato dei browser? L’Economist ritiene di sì, perché i contratti di Google con i costruttori di smartphone sono assai vincolanti. Microsoft, in effetti, fu obbligata a “spacchettare” Windows per consentire ai consumatori di installare programmi concorrenti.
Ma i comportamenti contestati a Google hanno uguali effetti negativi sui consumatori e sull’innovazione, evidenti nel caso di Microsoft? Oggi si addebita a Google 1) di richiedere ai costruttori di smartphone la preinstallazione di Chrome, You Tube e Gmail come condizione per usufruire di incentivi finanziari e di ottenere le licenze di alcune app proprietarie, come Google Play o Musica; 2) di impedire la commercializzazione di smartphone che montano sistemi operativi Android modificati da terzi. In apparenza, la dominanza di Android, adottato nel 2015 dall’80 per cento degli smartphone venduti nel mondo, è simile a quella di Windows sui Pc. E simile è anche la strategia di usare quel potere per favorire le proprie applicazioni. Tuttavia, la fattispecie è piuttosto diversa, sia perché Android è gratuita e open source, sia perché i due principali concorrenti di Google – Microsoft e Apple – applicano i medesimi contratti di esclusiva (i cosiddetti Mada, Mobile Application Distribution Agreement) per Windows Mobile e Ios.
Dunque qui, a differenza del caso Microsoft, non può essere la dominanza a consentire l’eventuale comportamento abusivo. La posizione dominante sembra piuttosto dovuta alla preveggente (e fortunata) scelta di Google di stringere accordi con Samsung, che nel 2015 deteneva il 22,7 per cento delle vendite di smartphone nel mondo, mentre la stessa strategia non è riuscita a Microsoft con Nokia, le cui vendite sono in costante calo. L’obiettivo di Google non è estendere la sua dominanza ad altri mercati attigui come voleva fare Microsoft, ma mantenerla anche sugli smartphone per sfruttare le esternalità di rete godute nella fornitura dei servizi pubblicitari sui Pc. Nel caso di Microsoft la riduzione di benessere del consumatore, cui era impedito di disporre di programmi concorrenti di Explorer, era evidente. Qui non vi è alcun impedimento a usare altre app.
Il ruolo dell’analisi economica
L’analisi economica può fornirci alcuni elementi di valutazione dell’eventuale abusività dei comportamenti contestati. La teoria dei costi di transazione di Williamson sembra cogliere un profilo rilevante: l’integrazione verticale, nella forma di sistema chiuso o aperto ma legato da clausole di esclusività, permette significativi risparmi nei costi di transazione per fornitori e consumatori. Ciò spiegherebbe perché i contestati Mada sono la regola e non l’eccezione.
Aver sottovalutato l’importanza dei costi di transazione e la necessità di innovare costò a Blackberry, che adottava un sistema chiuso, il crollo della sua quota di mercato nel mobile. Quanto all’innovazione, sembra essere favorita – e non bloccata – dall’integrazione verticale: solo la versione Google di Android garantisce infatti la piena compatibilità con Chrome. In Cina, dove sugli smartphone è montata una versione modificata del sistema operativo, Chrome non funziona.
La politica entra in gioco
È probabile che il caso Android costituisca il tentativo della Commissione di mostrare ai cittadini europei il proprio zelo, visto che nell’altro caso Google Search, aperto ormai da cinque anni, nonostante recenti voci non riesce a costruire prove fondate di abuso. In quel caso, Google è accusata da alcuni grandi gruppi editoriali europei (cui si è aggiunta ora NewsCorp) e dai cosiddetti motori verticali (siti che offrono servizi specializzati, come Yandex, DuckDuckGo, eDreams e altri) di alterare deliberatamente le sue modalità di indicizzazione dei risultati delle ricerche. Il fronte sta però perdendo di compattezza.
Da un lato Microsoft, il principale concorrente con il suo motore Bing, ha di recente ritirato le proprie accuse dalla procedura europea. Dall’altro, Google ha stretto accordi con alcune federazioni nazionali (anche in Italia con la Fieg – Federazione italiana editori giornali) che prevedono forme di revenue sharing sui dispositivi mobili, l’uso di strumenti come Google Analytics e investimenti per decine di milioni di euro. A contestare Google sono rimasti alcuni gruppi editoriali poco attrezzati nella competizione sul digitale, che sostengono di perdere ricavi pubblicitari a causa di Google News (dove peraltro non c’è pubblicità), ma non sono neanche in grado di valutare se convenga o meno auto-escludersi dal servizio. È esemplare il caso degli editori tedeschi, che hanno dapprima vietato a Google l’uso delle loro news, salvo poi ripensarci due mesi dopo.
L’articolo è tratto dal sito www.lavoce.info -> http://www.lavoce.info/archives/41661/perche-google-non-fara-la-fine-di-microsoft/