“In Italia abbiamo 6.734 impianti coordinati all’ITU su ben 18.412 impianti in esercizio, creando grandi interferenze con Paesi vicini. Anche le emittenti nazionali non sono completamente coordinate. Serve un intervento di sistema, un nuovo piano, per risolvere e prepararsi alla liberazione delle frequenze 700 MHz per la banda larga mobile”. Antonio Sassano, docente della università Sapienza di Roma, fa il primo conto aggiornato sulla situazione caotica delle frequenze italiane.
Cosa è più urgente ora da fare in Italia per assicurarci un futuro a banda ultra larga mobile?
Le nuove tecnologie 5G consentono di utilizzare al meglio ogni frequenza disponibile: le più alte per garantire la larghezza di banda e le più basse (incluse le 700 MHz) per garantire la copertura e la penetrazione negli edifici. Credo dunque sia necessaria una revisione degli attuali usi dello spettro. Una “Spectrum Review” che ci consenta di valutare se esistono porzioni dello spettro elettromagnetico italiano sotto-utilizzati o mal utilizzati. Gli usi militari andrebbero valutati con grande precisione. Ma non solo, mi permetto di dire che l’uso coordinato delle frequenze UHF utilizzate dalla TV creerà, per la prima volta in Italia, ampie zone di “non-uso”, le cosiddette “white areas”. Ora in Italia non esistono perché tutto lo spettro UHF è utilizzato da emittenti nazionali e locali. Ma quando coordineremo il nuovo Piano Post-700 (e dovremo farlo entro il dicembre 2017), avremo preziose frequenze della Banda 5-600 MHz non utilizzate in molte regioni italiane. Ad esempio, le frequenze assegnate alla Francia lungo la costa tirrenica e quelle assegnate ai paesi della ex-Jugoslavia sul versante adriatico. Ebbene, queste frequenze non potranno più essere utilizzate dagli attuali siti televisivi ma potrebbero essere utilizzate, con l’accordo dei Paesi vicini, per collegamenti fissi a banda larga (FWB) o per LTE broadcasting dai siti mobili. Un contributo notevole all’affermazione della banda larga nelle zone meno densamente abitate. Alla fine, al 2020, anche grazie al passaggio all’MPEG4, potremo avere 15 Multiplex contro gli attuali 30, a parità di programmi e di qualità. Senza costringere gli utenti ad acquistare nuove tv o decoder.
Veniamo all’asta. Quando andrebbe fatta? Come, con quali regole?
L’asta per le frequenze 700 dovrà essere completata prima del 2022. Se poi, come i francesi, decideremo di assegnare le frequenze progressivamente liberate dal processo di switch-off, tutto dipenderà dalla data di inizio di questo processo. Se, ottimisticamente, il processo durerà due anni (quello francese durerà dal 2016 al 2019), le frequenze 700 saranno spente già nel 2020 nelle prime regioni e per quella data potrebbero essere assegnate agli operatori mobili aggiudicatari. Dunque, sarebbe bene che l’asta fosse completata entro il 2020. Questo anche per consentire l’uso di parte dei ricavi per finanziare la liberazione dello spettro. Non dimentichiamo che il processo di switch-off ha un costo e che, piaccia o no, agli operatori TV sono stati assegnati diritti d’uso che scadono nel 2032.
Ricordiamo perché ci servono quelle frequenze a 700 MHz, l’importanza del 5G
Le frequenze 700 dovranno essere liberate perché tutto il mondo (non solo l’UE) ha deciso di utilizzarle, con gli stessi standard tecnici, per la banda larga mobile. Questo è la motivazione più forte al loro utilizzo da parte degli operatori mobili: uniformarci all’Europa e al resto del mondo. Perchè sono state scelte? Il motivo tecnico principale è che le frequenze sotto i 1000 MHz garantiscono maggior copertura e penetrazione e dunque sono il complemento ideale delle frequenze più alte (sopra ai 3000 Mhz) destinate a garantire la capacità a breve distanza. Non dimentichiamo poi che il “broadcasting” non muore nel mondo della banda larga. Ma non soltanto per i contenuti video. Ad esempio, la distribuzione di contenuti simili a milioni di “device” collegati nella Internet of Things sarà una delle azioni più frequenti nelle reti di nuova generazione. Le reti del futuro decideranno, sulla base dei contenuti e della domanda, se trasmettere in modalità uno-a-uno o uno-a-molti. E dunque le frequenze 700MHz (e anche le più basse frequenze 5-600 MHz) saranno indispensabili per realizzare efficientemente questo obiettivo.
Quale sarà il ruolo del Dvb-t2 in questo discorso? Insomma, non dovremo cambiare tv per liberare i 700 MHz?
Assolutamente no! A pagare la liberazione della banda 700Mhz non dovranno essere di nuovo gli utenti televisivi. Dobbiamo organizzare le cose in modo tale da evitare una nuova stagione di “decoder di Stato per tutti“. Dunque, chi ha comperato un televisore negli ultimi mesi, attrezzato solo con MPEG4 e senza il DVB-T2 non dovrà sentirsi dire: “peccato, ora dovrai comperare un nuovo televisore T2 e HEVC o applicare un decoder da 30 euro alla tua bellissima TV“. Ogni strategia di transizione dovrà garantire agli utenti la visione dei programmi televisivi sulle TV acquistate negli ultimi anni, senza “add-on” e decoder esterni. Sarà possibile? Secondo me si. Nel 2020, quando inizieremo a spegnere le frequenze 700, il parco televisori (trascuro sempre quella piccola percentuale di utenti che non cambiano mai il proprio televisore e che dovrà essere aiutata con contributi pubblici) sarà al 100% in grado di ricevere trasmissioni codificate con MPEG4 o HEVC. Dunque la capacità trasmissiva disponibile sarà, a parità di frequenze, raddoppiata rispetto a quella attuale. Ora abbiamo 20 multiplex nazionali e almeno 10 multiplex locali. Sarà sufficiente pianificare 10 multiplex nazionali e 5 locali per garantire la stessa capacità trasmissiva attualmente utilizzata dalle reti TV terrestri. Il progressivo affermarsi della codifica HEVC e dello standard DVB-T2 consentirà poi un’ulteriore triplicazione della capacità trasmissiva negli anni 2020-2025 e dunque darà la possibilità ai broadcaster di aumentare progressivamente la qualità delle proprie trasmissioni (HDR, 4k etc.) per tutti gli italiani. Ma senza costringere nessuno a gettar via il proprio televisiore “quasi” nuovo.