Sharing economy e pubblica amministrazione. Binomio vincente o incontro impossibile? La domanda è lecita se si pensa, da una parte, al proliferare di progetti di economia collaborativa – anche sul versante pubblico – e dall’altra ai lacci e lacciuoli burocratici e alla gerarchia che mal si conciliano con l’idea di condivisione. E non solo in Italia. Uno studio di Accenture – “L’innovazione del settore pubblico al tempo della We Economy”- mette in evidenza come l’amministrazione Usa sia ancora disallineata rispetto ai cittadini: a fronte di percentuali che arrivano all’87% tra i cittadini che si dicono favorevoli all’adozione di questi modelli da parte del settore pubblico, meno della metà dei dirigenti pubblici afferma che ne prenderà in considerazione l’utilizzo nel corso dei prossimi 10 anni. Meno di 1 su 5 afferma di essere disposto a considerarlo alla stato attuale, pur se la larga maggioranza degli intervistati ne riconosce gli effetti positivi. Nonostante si diffonda l’uso di Uber e AirBnb, ad esempio.
E in Italia? La sharing economy è in forte aumento, almeno sul lato consumer. Un report della Facoltà di Economia dell’Università degli studi Niccolò Cusano conferma un trend di crescita, per la sharing economy, pari al 34% nell’ultimo anno, equiparabile a un fatturato annuo che si attesta sui 13 miliardi di euro.
Secondo le stime questo valore è destinato a toccare addirittura i 300 miliardi di euro nel 2025. Si va dalla condivisione della casa a quella dell’auto e della cena.
Un’onda che sta gradualmente contagiando le PA. Non sono pochi infatti gli enti, soprattutto medio-piccoli, che hanno messo in campo progetti ad hoc. Si va dal Comune di Sarre, che con la sua Banca del Tempo condivide servizi con i propri cittadini, a quello di Niscemi che ha avviato un progetto di condivisione di beni e servizi con i comuni limitrofi in un’ottica di controllo della spesa, fino ai casi CommunWEB di Trento, G.I.T. di Regione Umbria e Comune di Modena, esempio di condivisione orizzontale di piattaforme informatiche e buone prassi amministrative.
“La sharing economy – spiega a CorCom la deputata dem Veronica Tentori, prima firmataria della legge sulla sharing economy – è soprattutto legata all’innovazione sociale, prima ancora che tecnologica. Per la PA questo significa rapportarsi non solo con gli operatori tecnologici ma con le esperienze già molto attive sui territori, che possono attraverso governance collaborativa lavorare con la PA sui servizi al momento insufficienti”.
Una filosofia abbracciata già da qualche anno dal Comune di Milano che nell’ambito dell’iniziativa Milano Sharing city ha battezzato il crowfunding pubblico. Di che si tratta? Palazzo Marino ha lanciato dei bandi su tematiche di interesse pubblico. L’amministrazione ha raccolto progetti di associazioni, poi pubblicati su una piattaforma di crowdfunding. Le iniziative che raggiungevano il 50% di finanziamento tramite canali propri – va detto che erano progetti di associazioni – venivano poi finanziate per la restante percentuale dal Comune. “Per i milanesi, condividere beni e servizi sembra avere ancor più senso nella misura in cui si generano nuove reti e relazioni, fiducia, legami di comunità e senso di appartenenza”, dice Lucia Scopelliti, responsabile del servizio Smart City del Comune di Milano.
Ma lo sforzo delle singole amministrazioni non basta.
Per Alberto Marchi ed Ellora-Julie Parekh di McKinsey Italia è “importante sottolineare il contributo che la sharing economy può dare non solo all’occupazione ma anche ad altre questioni sociali, come l’ambiente o la partecipazione femminile al mondo del lavoro. Ad esempio, che impatto potrebbe avere il ride sharing nelle 93 città asiatiche che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera tra le 100 più inquinate al mondo?”.
Allo stesso modo i cittadini attivamente coinvolti nella sharing economy, laddove mettano a disposizione propri beni, competenze e servizi, richiedono un sostegno da parte della pubblica amministrazione per essere sicuri di “essere in regola” o per arrivare facilmente ad esserlo.
Strategie regole chiare per la PA, dunque. A ForumPA 2016 si è iniziato un percorso con il confronto tra esperti e rappresentanti delle amministrazioni per contribuire alla stesura della legge sulla sharing economy che nella sua versione iniziale non prevede regole per il settore pubblico.
Molti gli spunti emersi: dalla richiestissima formazione, collegata alle opportunità esponenziali offerte dalla piattaforme peer-to- peer alla necessità di rivedere i processi di recruitment all’interno della PA, fino all’urgenza di individuare strumenti normativi più semplici delle Convenzioni in collegamento con l’immediatezza dello strumento “piattaforma”. Le parole chiave sono: semplificazione, standard tecnologici e normativi per la condivisione, attenzione e valorizzazione delle risorse umane che lavorano con approccio sharing; sviluppo di strumenti tecnologici, attenzione alle aree interne e ai piccoli comuni.
“Sulla pubblica amministrazione abbiamo lasciato la norma aperta proprio per avere lo spazio di ascoltare gli enti locali e trovare con loro lo strumento adatto, snello, flessibile e veloce che potesse non creare intoppi burocratici e rendere i comuni il più liberi possibile di condividere beni e servizi, a beneficio dei cittadini ma anche dei pubblici dipendenti”, spiega ancora Tentori.Le legge sulla sharing economy: dopo la conclusione della consultazione on line, si aprirà un ciclo di audizioni, subito dopo le elezioni amministrative, e dopo una veloce fase emendativa si spera di arrivare in aula in autunno.