Emilio Pucci: “Screen content le colonne d’Ercole del mercato audiotv”

Il fondatore di e-media Research: “E’ in atto una fortissima accelerazione per il sistema degli schermi connessi”

Pubblicato il 18 Lug 2016

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I tempi dell’Europa faticano a regolare un mercato, quello dell’audiovideo, che grazie alle tecnologie sta evolvendosi alla velocità della luce. Gli utenti non consumano più nello stesso modo di prima. Non c’è più la Tv, o la sala cinematografica, al centro dell’entertainment del mondo occidentale. Ma è il contenuto, che diventa centrale: perché il mezzo è esploso in tanti mezzi. La Tv certo, ma anche lo smartphone, il tablet, il computer. Per questo chi analizza il mercato dell’audiovideo parla, come ha fatto Emilio Pucci e l’istituto da lui fondato, e-media Institute, di screen content.

Pucci, nei vostri studi più recenti avete introdotto il paradigma dello screen content, un paradigma che fa pensare alle colonne d’Ercole del mercato audiovideo: perché?

L’intero mercato del contenuto editoriale – tutti i generi e tutti i formati – si riorganizza all’interno del sistema degli schermi connessi (TV, smartphone, tablet, PC, ebook). Questo processo subisce oggi una forte accelerazione per l’efficienza dei terminali mobili e la progressiva evoluzione dei televisori. Fino a quando il terminale di consumo dei contenuti multimediali era il PC il sistema integrato dello screen content faceva fatica a formarsi perché il PC (tanto il desktop quanto il laptop) non era tanto efficiente. Si pensi, ad esempio, al consumo di prodotti audiovisivi. Ma la trasformazione più importante non riguarda i terminali quanto l’affermazione di piattaforme distributive globali che all’interno del sistema integrato degli schermi connessi assumono un ruolo e un’importanza ineguagliabili. Per la prima volta nella storia dell’industria culturale la globalizzazione non consiste solo nella circolazione globale dei contenuti (film, libri, serie TV etc.) ma nella esistenza di piattaforme distributive globali che si sostituiscono a quelle nazionali. Piattaforme globali che gestiscono direttamente il rapporto con gli individui e dispongono della conoscenza diretta della loro identità e dei loro comportamenti di consumo.

Netflix e gli altri distributori Ott stanno già “terremotando” il settore? Quali sono i segnali?

Il terremoto è annunciato e arriverà nel momento in cui si verificherà l’impatto con il grande mercato audiovisivo. Per ora Netflix ha impattato il mercato dell’home video introducendo un servizio sostituto e facendo saltare il segmento d’offerta del noleggio. Ha poi “infastidito” la pay-TV contribuendo in un certo senso a frenarne la crescita ma il grosso dell’impatto deve ancora manifestarsi. I consumi televisivi, a pagamento e gratuiti, entreranno a pieno nel sistema integrato degli schermi connessi che è il terreno di dominio delle piattaforme globali. Da questo punto di vista la distinzione fra lineare e non-lineare è insignificante. Contano due cose: i contenuti (e la capacità di creare con essi eventi editoriali esclusivi e / o importanti) e la forza delle piattaforme distributive. Gli editori audiovisivi nazionali si indeboliscono su tutti e due i fronti perché è la forza della piattaforma che determina la capacità di alimentare a monte il ciclo della produzione. Così è stato in passato tanto per la TV gratuita storica quanto per quella a pagamento. Così è oggi per Internet.

Come dovrebbe attrezzarsi l’Italia per accogliere questo passaggio?

Sostengo da sempre l’importanza di un approccio sistemico e coopetitivo in fatto di piattaforme. Gli attori devono interrogarsi su quali possano essere le condizioni migliori per non impoverire il ciclo dell’audiovisivo nazionale. Se questo si impoverisce, l’intero sistema delle industrie creative nazionali ne risente e dunque anche la stessa identità nazionale. I grandi attori dell’audiovisivo, l’operatore pubblico in testa, dovrebbero guidare un processo industriale e strategico teso a rafforzare innanzitutto le piattaforme elettive e poi a presidiare con forza il nuovo ambiente integrato degli schermi connessi; creando poi, sul versante della produzione, una migliore capacità di reggere l’impatto con il prodotto estero. La debolezza dell’Italia è a dir poco drammatica.

Le aziende italiane stanno muovendosi nella giusta direzione?

Ci provano ma, ripeto, sembra mancare o stentare a formarsi un approccio di sistema. Se si guarda al sistema francese o a quello britannico ad esempio è facile notare come in quei due Paesi lo Stato abbia dato centralità alla capacità del sistema audiovisivo di reggere le sfide della globalizzazione potenziando la produzione televisiva e la capacità di export delle imprese nazionali. Su questo versante, ad esempio, il servizio pubblico ha un ruolo importante: deve dimostrare di essere un motore di sviluppo del sistema audiovisivo nel suo complesso. Ho più volte fatto l’esempio dei canali esteri: se Francia, UK e Germania spendono ciascuno alcune centinaia di milioni di Euro (rispettivamente 260, 300 e 300) per i canali esteri, in Italia se ne spendono meno di dieci.

E i regolatori, cosa possono fare?

I regolatori sono oggettivamente in difficoltà perché i processi sono così rapidi che le regole arrivano in ritardo e si mostrano spesso inadeguate. Oggi mentre è sotto gli occhi di tutti la formazione del sistema integrato degli schermi connessi, il regolatore per forza di cose arranca cercando di operare con strumenti che non riescono a tenere conto delle trasformazioni in atto. Fra editori storici della televisione e operatori dell’audiovisivo su Internet non c’è un’asimmetria regolamentare ma un vero e proprio baratro di senso… Regole completamente diverse intervengono sugli stessi consumi audiovisivi e su attori di mercato che competono per lo stesso tempo di consumo, lo stesso budget di spesa dei consumatori, gli stessi inserzionisti e le stesse risorse destinate alla comunicazione commerciale delle imprese.

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