«I dati sono big nel momento in cui vengono messi insieme: la condivisione delle informazioni fra le singole unità delle strutture sanitarie è la via maestra, ma serve anche una struttura abilitante».
Enrico Salvatori, Emea Big Data Platform Business Development Manager di Hewlett Packard Enterprise, delinea a CorCom le nuove frontiere dell’utilizzo dei dati e dei software digitali nel mondo della sanità. Un futuro tutto da scrivere tra telemedicina, digital skill, analytics e intelligenza aumentata.
Big data e sanità: quali sono gli ostacoli principali?
Oggi non esiste un’infrastruttura paese adeguata. I dati sono big nel momento in cui vengono messi insieme e la sanità deve iniziare a condividere le informazioni fra le singole unità. Serve una struttura abilitante che aiuti a favorire l’interscambio. Esiste ancora molta carta, anche se con la ricetta elettronica e altre novità è stato fatto qualche passo avanti. Sicuramente siamo solo all’inizio di un processo.
Esiste anche un problema legato ai costi?
Viene spesso fatta l’equazione “Big Data uguale big spending”. In realtà, le tecnologie consentono di fare investimenti sulla digital trasformation e i Big Data senza spese eccessive. Il ritorno degli investimenti sui Big Data in ambito sanitario è molto alto, non solo in termini di qualità del servizio, ma anche sul versante del contenimento dei costi. Ad esempio, l’ospedale universitario di Cambridge ha utilizzato i nostri sistemi di analisi dati per stimare i rischi dei pazienti sottoposti ad alcune operazioni in day hospital, riuscendo ad ottimizzare l’utilizzo dei posti letto e le spese.
Qual è il ruolo di HPE nel processo di trasformazione digitale delle strutture sanitarie?
In Italia ci sono ampi margini di miglioramento. HPE ha fondato la sua strategia sull’innovazione e in particolare sui Big Data, applicati anche ad un ambito come quello della nuova industria 4.0. Abbiamo investito molte risorse sui software di analytics real time sui dati strutturati e non, in un’ottica di intelligenza aumentata. Questi sistemi cognitivi sono un supporto per gli utilizzatori, non dei sostituti: ciò vale anche per la sanità.
Prevenzione, diagnosi, cura e ricerca: i Big Data stimoleranno la creazione di nuove sinergie tra pubblico e privato?
Le più grandi iniziative nel settore vengono proprio dal partenariato pubblico-privato. La sanità ha un grande patrimonio costituito dai dati e dalle competenze di medici e ricercatori. Il privato può mettere a disposizione la tecnologia e rendere più agevole lo studio delle informazioni.
Dal punto di vista delle competenze, serviranno medici più digitali?
Indubbiamente serve una formazione ad hoc sulle nuove tecnologie, ma dobbiamo abbandonare il concetto del computer che si sostituisce al medico. Un sistema IT è invece un grande alleato, uno strumento che facilita il lavoro e ne ottimizza l’efficienza.
Che ruolo avrà la telemedicina?
Aiuterà la crescita dei Big Data, anche grazie ai wearable, stimolando un maggiore utilizzo di tecnologie di connessione e di acquisizione dei dati. I dati saranno raccolti e utilizzati per la cura specifica e la ricerca, quindi per lo studio predittivo. La sfida è nel passaggio ad una logica di maggiore prevenzione.
Come si difende la grande mole di dati gestita dalle strutture sanitarie dal cybercrime?
Tramite strumenti di cybersecurity che utilizzano anch’essi i Big Data. La crescita esponenziale degli attacchi ci obbliga a capire da dove possano arrivare le minacce, analizzare costantemente i rischi e prevedere gli ambiti più sensibili. Crescono i rischi ma al contempo crescono anche i livelli di difesa. La sicurezza informatica è uno dei nostri pilastri strategici, perché business più sicuri sono business più efficienti. La necessità di spingere sulla prevenzione più che sulla cura vale per la sanità, quindi vale a maggior ragione per un settore sanitario che utilizzerà sempre più le tecnologie Big Data. Non dobbiamo però solamente prevenire, ma anche predisporre misure contro attacchi improvvisi.