Il Consiglio di Stato, in una sentenza pubblicata qualche giorno fa, ha confermato che i cittadini non possono sapere come lo Stato investe in derivati, strumenti finanziari rischiosi che potenzialmente possono portare a grossi buchi in bilancio. Tuttavia, a differenza da quanto notato da altri commentatori su diverse testate, la sentenza non è la parola fine per la battaglia della trasparenza PA. E’ anzi il momento di un nuovo inizio, che sarà rilanciato quando il Foia, il Freedom of information act, sarà pienamente esecutivo (dal 23 dicembre). Vediamo che cosa ci aspetta.
La lettura del testo della stessa sentenza rivela che la partita è tutt’altro che chiusa, in realtà. E’ vero, da una parte il Consiglio di Stato ha confermato nella pratica che il giornalista (la richiesta era partita da Guido Romeo) non ha titolo per accedere agli atti, ai sensi della 241/90 (superata dal Foia, che però- come detto- ancora non è applicabile). Dall’altra però revoca il pagamento delle spese giudiziarie, riconoscendo- a dispetto del Tar- che la richiesta non era peregrina. Che la normativa sulla trasparenza è confusa e di difficile interpretazione.
Sono le motivazioni alla base della battaglia che la società civile ha condotto per il Foia. Battaglia ancora in corso, in realtà, perché adesso bisognerà fare chiarezza sull’interpretazione delle eccezioni previste sul decreto del Foia e che sarà affidata a linee guida di Anac. L’Open government forum, istituito in estate dalla ministra Madia, servirà anche a questo. Beninteso, tutti i Foia hanno eccezioni (Obama negli Usa ha appena rivisto quelle del loro storico Foia). Tuttavia, il nostro ne prevede una che non c’era nemmeno nella 241/90: la stabilità economica dello Stato.
Significa che in nome di questa eccezione lo Stato potrebbe ancora negare l’accesso ai contratti che ha stipulato con 19 banche straniere sui derivati (e ad altri atti simili).
Ecco perché la battaglia sulle linee guida Anac è importante. Perché quella della trasparenza pubblica possa considerarsi davvero vinta, in Italia, le linee guida dovranno essere abbastanza chiare, da una parte; dall’altra dovranno ridurre al massimo la possibilità di utilizzo strumentale delle eccezioni per negare i diritti dei cittadini.
Il braccio di ferro riprenderà a settembre. E da gennaio ci sarà il primo banco di prova della nuova trasparenza made in Italy.
Ripubblichiamo qui il testo della sentenza.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 52/2016 RG, proposto dal dott. Guido Romeo, rappresentato e difeso dagli avvocati Ernesto Belisario e Guido Scorza, con domicilio eletto in Roma, via dei Barbieri n. 6,
contro
il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
nei confronti di
Dexia Crediop s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. III, n. 13250/2015, resa tra le parti e concernente il diniego di accesso agli atti su contratti finanziari in derivati tra lo Stato e taluni istituti di credito;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del solo Ministero intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del 14 luglio 2016 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. Belisario e l’Avvocato dello Stato Tortora;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – Il dott. Guido Romeo assume d’esser giornalista e data business editor del periodico Wired, per il quale cura vari articoli ed inchieste sulla finanza pubblica.
In tal sua qualità, in data 23 marzo 2015, egli ha chiesto al Ministero dell’economia e delle finanze di accedere ed estrarre copia di «… tutti i contratti ISDA Master Agreement, Master Service Agreement e Mandate Agreement, … “contratti in derivati”, relativi Term Sheet e qualsiasi altro documento connesso, attualmente in essere…» tra l’Italia e diciannove istituti di credito stranieri. In subordine, egli ha chiesto d’accedere ai «… 13 contratti in derivati attualmente in vigore tra lo Stato italiano… e banche e istituti finanziari…, per i quali è ancora presenta la clausola di recesso anticipato…». Tanto perché la testata Wired, tenuto conto sia dell’inchiesta parlamentare in corso e dell’attualità di esso, ha deciso di «… avviare un’inchiesta giornalistica… sul tema…». A suo dire, sussiste l’interesse ad accedere ai documenti stessi per esercitare il diritto di cronaca ex art. 21 Cost., mentre questi «… sono necessari al fine di divulgare informazioni di utilità sociale… (e) … non sono tra quelli considerati riservati…» da tal P.A.
2. – Il Ministero è rimasto inerte sull’istanza attorea.
Sicché il dott. Romeo ha adito il TAR Lazio, a seguito del silenzio così serbato e con il ricorso n. 6692/2015 RG, al fine d’accedere ai citati documenti e di accertare e dichiarare il proprio diritto ad ottenerne l’ostensione e l’esibizione ex art. 116, c. 4, c.p.a. Il dott. Romeo, premettendo cenni su tali contratti in derivati tra Stato e istituti finanziari e sulla trasparenza dei dati sulla spesa pubblica, deduce l’assenza di divieti, nella fonte primaria e nel combinato disposto dell’art. 7 del DM 5 gennaio 2012 e dell’art. 3 del DM 13 ottobre 1995 n. 561, all’accesso di tali atti o alla loro divulgazione.
L’adito TAR, con sentenza n. 13250 del 24 novembre 2015, ha respinto la pretesa attorea, con la condanna alle spese di lite. In particolare, il TAR ha ritenuto che: a) –la posizione di giornalista del dott. Romeo e l’interesse dei potenziali lettori ad una maggior informazione sui contratti in derivati non sono elementi sufficienti a fondare una legittimazione qualificata all’accesso; b) – l’effetto di tale divulgazione è pregiudizievole sulle attività in derivati, con svantaggio competitivo di Stato ed istituti nel mercato relativo.
3. – Appella quindi il dott. Romeo, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per: A) – non aver riconosciuto, in capo a lui, un interesse rilevante e differenziato a tal accesso (strumentale alla libertà d’informazione garantita e riconosciuta agli organi di stampa) nonché in considerazione degli obblighi di buona fede e di collaborazione cui è tenuta la P.A. verso il privato; B) – la falsa rappresentazione dei fatti di causa, essendo stato chiesto un numero delimitato di atti (individuati in modo specifico secondo quanto già reso pubblico in esito a detta indagine parlamentare), non preordinato ad un controllo generalizzato dell’attività amministrativa; C) – l’illegittimità del diniego tacito circa taluni affermati e non dimostrati effetti pregiudizievoli sulle attività in derivati; D) – l’illegittima condanna alle spese di lite. Resiste in giudizio il Ministero intimato, che insiste per il difetto di legittimazione dell’appellante all’accesso e per l’infondatezza del presente gravame.
All’udienza camerale del 14 luglio 2016, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. – L’appello è fondato limitatamente alla statuizione sulle spese del giudizio, per il resto non potendo esser condiviso, anche se la sentenza del Tribunale amministrativo merita, in punto di motivazione, le precisazioni che si esporranno.
4.1 In primo luogo, occorre sgomberare il campo da argomentazioni che, ad avviso del Collegio, non riguardano in maniera decisiva il thema decidendum.
Per quanto riguarda le controdeduzioni dell’Amministrazione appellata, si rammenti che, nel caso in esame, l’odierno appellante ha agito a seguito del silenzio serbato dalla P.A. sulla sua istanza d’accesso. Sicché non dura fatica il Collegio a reputare l’assunto della difesa erariale, sullo scopo dell’accesso per svolgere un controllo generalizzato dell’azione amministrativa e sull’effetto pregiudizievole dell’eventuale ostensione dei richiesti contratti in derivati sul mercato relativo, nulla più che un argomento difensionale. Ma ciò si risolve nella inammissibile –secondo ricevuti princìpi- sostituzione d’un concreto provvedimento di diniego, mai emanato, con uno scritto difensivo che, volto a surrogare una inespressa volontà della P.A., che potrebbe pure avere opinioni più articolate al riguardo.
Per altro verso, con riguardo a quanto deduce l’appellante, è ben noto al Collegio, ma altrettanto non pertinente ai presenti fini, l’arresto di questo Consiglio (cfr. Cons. St., V, 17 marzo 2015 n. 1370), secondo cui «… il diritto di accesso … è collegato a una riforma di fondo dell’ Amministrazione, ispirata ai principi di democrazia partecipativa, della pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa desumibili dall’art. 97 Cost., che s’inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività… amministrativa quale strumento di prevenzione e contrasto sociale ad abusi e illegalità…», poiché nella specie si controverte non sulla ratio generale dell’accesso, ma della sua utilizzabilità da parte dell’appellante nella concreta situazione per cui è causa e nel contesto normativo della legge n. 241, invocato dall’appellante medesimo.
Invero, il punto centrale della presente controversia è e resta, avendo voluto l’appellante adoperare proprio lo strumento ex artt. 22 e ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241 deducendo la propria libertà di informarsi per informare, la soggezione del diritto di accesso, come ivi delineato, alle stringenti regole colà previste e, quindi, la legittimazione dell’appellante al loro uso e, di conseguenza, ai rimedi che l’ordinamento appresta a garanzia di questo.
Di ciò il TAR ha dato buona contezza, laddove ha precisato che, se fosse «… sufficiente l’esercizio dell’attività giornalistica ed il fine di svolgere un’inchiesta… su una determinata tematica per ritenere, per ciò solo, il richiedente autorizzato ad accedere a documenti in possesso… (della P.A.) …, sol perché genericamente riconducibili all’oggetto di detta “inchiesta”, si finirebbe per introdurre una sorta di inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa che la normativa sull’accesso non conosce…».
4.2 In altri termini, l’istanza di accesso proposta in via amministrativa dall’appellante e la conseguente domanda giudiziale vanno valutate, per saggiare la legittimità del diniego (rectius: silenzio) opposto dall’Amministrazione alla luce dell’invocato disposto normativo, senza poter prendere in considerazione la successiva evoluzione della disciplina normativa in materia di trasparenza delle pubbliche amministrazioni e di conoscenza dei relativi atti.
Non sfugge al Collegio come dottrina e giurisprudenza abbiano svolto un’opera di ridefinizione della formula dell’art. 21 Cost., giungendo a configurare una libertà di cronaca ed una più ampia libertà d’informare. Ciò ha comportato da tempo il consolidamento dell’autonomia della libertà di informazione, in sé e rispetto alla libertà di opinione e di stampa, ma soprattutto la maturazione della differenza tra profilo attivo e profilo passivo della libertà stessa. In particolare, per quel che qui concerne, il primo profilo si sostanzia nella libertà d’informare (cioè di comunicare e diffondere idee e notizie), il secondo, che attiene ai destinatari dell’informazione, si specifica nella libertà di esser informati, ma, si badi, come mero risvolto passivo della libertà d’informare, oltre che nella libertà di accedere alle informazioni.
L’elaborazione più significativa, cui ha dato luogo l’interpretazione evolutiva dell’art. 21 Cost., si rinviene senz’altro sul profilo passivo della libertà d’informazione.
Al riguardo, l’attenzione s’è incentrata anzitutto sulle posizioni soggettive inerenti alla libertà di informarsi, con particolare riguardo sia all’interesse a ricevere le notizie in circolazione e non coperte da segreto o da riservatezza, sia all’interesse a ricercare le notizie. Tralasciando il primo interesse, poiché esula dall’oggetto del presente giudizio, più complessa è la fisionomia dell’interesse a ricercare le notizie, che l’appellante in sostanza ha azionato in questa sede. V’è, per vero, una stretta interdipendenza tra quell’interesse e l’attività di chi divulga le informazioni, tant’è che la giurisprudenza, anche antica, di questa Sezione si è espressa (cfr. Cons. St., IV, 6 maggio 1996 n. 570; cfr., più di recente, id., 22 settembre 2014 n. 4748) sulla posizione qualificata e differenziata degli organi di stampa (e, quindi, dei giornalisti) circa la conoscenza (del contenuto) degli atti detenuti dalla P.A. Si richiama, da ultimo, anche il nuovo approdo «… dell’ordinamento comunitario in subjecta materia circa una compiuta evoluzione verso una società dell’ informazione e della conoscenza (cfr. Direttiva 2003/98/CE) …».
4.3 Tuttavia, se è vera la relazione giuridica tra chi informa e chi viene informato, non solo non si può legittimamente predicare l’esistenza d’un diritto soggettivo in capo ai destinatari tale addirittura da condizionare la posizione di chi informa pure nei contenuti e nel risultato, ma non si ravvisa, nel corpo dello stesso art. 21 Cost., il fondamento di un generale diritto di accesso alle fonti notiziali, al di là del concreto regime normativo che, di volta in volta e nell’equilibrio dei molteplici e talvolta non conciliabili interessi in gioco, regolano tal accesso.
In altre parole, occorre evitare ogni generalizzazione sul rapporto tra diritto d’accesso e libertà di informare. Il nesso di strumentalità tra le due figure, che pure esiste, si sostanzia non già reputando, come fa l’appellante, il diritto di accesso qual presupposto necessario della libertà d’informare, ma nel suo esatto opposto. È il riconoscimento giuridico di questa che, in base alla concreta regolazione del primo, diviene il presupposto di fattoaffinché si realizzi la libertà d’informarsi.
Sicché, come ha a suo tempo detto la Sezione, è pur vero che «… in linea di principio non si può equiparare la posizione di una testata giornalistica o di un operatore della stampa a quella di un qualunque soggetto giuridico per quanto attiene al diritto di accesso ai documenti amministrativi…». Tuttavia, «… occorre… pur sempre tener presente l’ambito soggettivo e quello oggettivo prescritti dalla legge entro i quali va riconosciuta la tutela sottesa all’accesso, presupponendo… un interesse personale e concreto, strumentale all’accesso…». Pertanto «… non è consentito dilatare l’ambito applicativo della normativa garantista di cui al citato art. 22 della legge n. 241…».
Ciò non significa che v’è un diniego generale al diritto di accesso alle fonti per l’informazione, né che il diritto ad essere informati si esaurisca nella libertà d’informarsi come mero risvolto fattuale della libertà d’informare.
Vuol dire piuttosto che va condotta un’indagine circa la consistenza della situazione legittimante all’accesso e che la relativa valutazione va articolata a seconda della disciplina normativa di riferimento, che varia in significative parti sia con riguardo ai caratteri della posizione legittimante (l’interesse “diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata” di cui alla legge n. 241), sia dei vari presidi che la legge pone verso l’accesso generalizzato (non collegato, cioè, ad un interesse qualificato e differenziato o comunque volto a un controllo diffuso sull’attività dei pubblici poteri). In particolare sul versante dei rapporti con i pubblici poteri, il legislatore non sconta limiti generali nel prevedere in favore dei cittadini una serie più o meno ampia di diritti ad essere informati, come avviene, per esempio, con le regole di pubblicità ex art. 29 del Dlg 14 marzo 2013 n. 33.
E’ fondamentale sottolineare, al riguardo, che l’evoluzione della legislazione in materia, che pure è via via sempre più aperta alle esigenze di trasparenza dell’azione pubblica, ha portato a configurare le diverse forme di accesso più che a guisa di un unico e globale diritto soggettivo di accesso agli atti e documenti in possesso dei pubblici poteri, come un insieme di sistemi di garanzia per la trasparenza, tra loro diversificati pur con inevitabili sovrapposizioni. Sicché s’avrà una maggiore o minore estensione della legittimazione soggettiva, a seconda della più o meno diretta strumentalità della conoscenza, incorporata negli atti e documenti oggetto d’accesso, rispetto ad un interesse protetto e differenziato, diverso dalla mera curiosità del dato, di colui che esprime sì il bisogno di accedere, ma con le modalità previste dalla specifica disciplina normativa invocata.
In altri termini, è da considerare che il sistema nel suo complesso dà luogo a vari tipi d’accesso, con diverse finalità e metodi d’approccio alla conoscenza ed altrettanti livelli soggettivi di pretesa alla trasparenza dei pubblici poteri. Tali livelli, nel sistema della legge n. 241 –che costituisce il parametro normativo di riferimento nel presente giudizio- saranno più ampi quando riguardano la partecipazione di un soggetto ad un procedimento amministrativo (art. 7, c. 1; art. 8, c. 2, lett. b; art. 10, lett. a) della l. 241/1990) o ad un processo amministrativo già in atto (art. 116, c. 2, c.p.a.: cfr., p. es., Cons. St., III, 14 marzo 2013 n. 1533), oppure quando l’accesso riguardi «… documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici…» (art. 24, c. 7 della legge n. 241); ma richiederanno pur sempre, nel sistema della legge n. 241, una posizione legittimante nei termini richiesti da quella disciplina. È allora ben chiaro che il diritto d’accesso ex legge n. 241 agli atti amministrativi non è connotato da caratteri di assolutezza e soggiace, oltre che ai limiti di cui all’art. 24 della l. 241/1990, alla rigorosa disamina della posizione legittimante del richiedente, il quale deve dimostrare un proprio e personale interesse (non di terzi, non della collettività indifferenziata) a conoscere gli atti e i documenti richiesti. Come si è detto, il diritto di cronaca è presupposto fattuale del diritto ad esser informati ma non è di per sé solo la posizione che legittima l’appellante all’accesso invocato ai sensi della legge n. 241.
Né sembri tutto ciò in contrasto con la c.d. “società dell’informazione” cui a livello europeo tende (cfr. considerando n. 2) la dir. n. 2003/98/CE, poiché, al di là dell’enfasi così manifestata, tale fonte comunque non esclude, nei ben noti ed ovvi limiti di ragionevolezza e proporzionalità, regimi nazionali che possano delimitare l’accesso anche con riferimento alla titolarità di una posizione legittimante).
Diversi sono i presupposti che connotano i casi di c.d. “accesso civico” ex art. 5 del Dlg 33/2013 (anche nel testo previgente alla novella del 2016), che tuttavia presuppongono la sussistenza di un obbligo di pubblicazione (cfr. funditus Cons. St., VI, 20 novembre 2013 n. 5515).
E ancora diversi sono i presupposti che disciplinano l’accesso ai sensi del decreto legislativo n. 97 del 2016, che svincola il diritto di accesso da una posizione legittimante differenziata (art. 5 del decreto n. 33 del 2013 nel testo novellato) e, al contempo, sottopone l’accesso ai limiti previsti dall’articolo 5 bis. In tal caso, la P.A. intimata dovrà in concreto valutare, se i limiti ivi enunciati siano da ritenere in concreto sussistenti, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza, a garanzia degli interessi ivi previsti e non potrà non tener conto, nella suddetta valutazione, anche le peculiairtà della posizione legittimante del richiedente.
In conclusione, l’appello è da respingere per la non dimostrata sussistenza, nel caso di specie, da parte dell’appellante di una posizione legittimante ai sensi e nei termini di cui alla legge n. 241.
5. – Viceversa, l’appello è da condividere, laddove è diretto contro la condanna alle spese di giudizio di primo grado.
Infatti, sul punto la statuizione del TAR non può essere condivisa, e ciò per due ordini di ragioni. Il primo: è stata l’inerzia del Ministero intimato a provocare la lite, su un’iniziativa d’accesso che lo stesso TAR ha definito «… ispirata all’apprezzabile fine di svolgere attività di informazione a vantaggio della pubblica opinione…», dunque non pretestuosa. Il secondo: l’infondatezza della pretesa azionata discende non ictu oculi, ma da una vicenda in sé normativamente complessa e connotata da arresti di giurisprudenza e da avvisi della dottrina non univoci e tuttora in divenire, inerenti ad aspetti seri e delicati a rilevanza costituzionale. Per l’una ragione e per l’altra, quindi, sussistevano fin dall’inizio i giustificati motivi per compensare integralmente dette spese, donde la riforma della sentenza appellata sul punto.
6. – L’appello va accolto in tali limiti, ma la complessità della questione e la parziale soccombenza suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, pure delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 52/2016 RG in epigrafe), lo accoglie limitatamene al capo della sentenza di primo grado relativo alla condanna alle spese, che sul punto va riformata, e lo respinge per il resto con la conferma della sentenza di primo grado e con le precisazioni di cui alla presente sentenza.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 14 luglio 2016, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Andrea Migliozzi, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Silvestro Maria Russo | Filippo Patroni Griffi |