Internet continua a essere un mezzo privilegiato per la propaganda delle organizzazioni terroristiche, e i giganti del web non fanno abbastanza per contrastare questo fenomeno, con il radicalismo che “dilaga attraverso internet”. E’ la conclusione a cui è giunta la commissione Affari interni del parlamento britannico, con il presidente Keith Vaz (nella foto) che chiede a Google & Co. di “non nascondersi dietro la dimensione sovranazionale” delle loro attività e di comportarsi con “maggiore senso di responsabilità”. Secondo l’analisi dei deputati le piattaforme come quelle dei social network o i siti di streaming video a partire da Youtube, di proprietà di Google, sarebbero “il veicolo privilegiato per la diffusione della propaganda” dell’Isis, che utilizzerebbe questi canali anche come centri “di reclutamento di terroristi”.
Gli accusati si difendono: Twitter aveva diffuso nei giorni scorsi i risultati della propria attività contro la propaganda terroristica, affermando di aver chiuso 360.000 account “sospetti”, mentre Facebook replica facendo presente di aver adottato insieme agli altri big dell’online “una strategia complessiva antiterrorismo” in collaborazione con le autorità giudiziarie in diversi Paesi.
A criticare le conclusioni dei deputati britannici, giudicate “semplicistiche e fuorvianti”, interviene anche Peter Neumann, docente al Kings College di Londra e studioso del radicalismo islamico: “Le aziende – spiega in un’intervista alla Bbc – stanno facendo molto di più a causa della pressione pubblica”, mentre l’Isis “assolda ormai gran parte dei suoi adepti in Gran Bretagna o altrove in Europa attraverso contatti diretti e personali, non più solo su internet”.