“Il piano Calenda su Industria 4.0? Aspettiamo il documento completo ma il fatto che il ministro, nell’anticiparlo al Forum Ambrosetti, non abbia fatto alcun cenno al tema dell’occupazione non fa ben sperare”. Roberta Turi, segretaria nazionale della Fiom Cgil, commenta così gli annunci del titolare dello Sviluppo economico.
Ma è comunque un tentativo di rilanciare una politica industriale nel nostro Paese…
Industria 4.0 potrebbe essere una grande opportunità per l’Italia di rilanciare la sua manifattura. Ma proprio per questo motivo è necessario che le istituzioni scelgano in maniera decisa dove reperire le risorse, su quali settori investire prioritariamente, come accompagnare la trasformazione digitale del lavoro. Si tratta di una strategia che va condivisa con tutti i soggetti coinvolti, imprese e sindacati.
Calenda ha annunciato che il documento verrà sottoposto alle parti sociali.
Sì, ma almeno per quanto riguarda i sindacati, non mi risulta ci siano stati contatti con il governo per sentire il nostro parere, prima della stesura del documento. So che c’è stato un confronto con Confindustria, però. Detto questo, aspettiamo di vedere il piano nel dettaglio. Ma il metodo di lavoro che ha scelto il ministro non è condivisibile.
Che metodo auspicate?
L’esempio è quello tedesco. La Germania, già nel 2011, aveva affidato la sua strategia all’Unione della ricerca. Dal lavoro del gruppo, che aveva l’incarico di mettere a fuoco i progetti del nuovo scenario, è nata la piattaforma Industrie 4.0. A quel tavolo di lavoro hanno partecipato sia i rappresentanti dell’impresa sia i sindacati di categoria come la Ig Metall. Al centro del documento Industrie 4.0 c’erano le risorse e l’occupazione.
Il ministro Calenda ha assicurato incentivi alle imprese che investono nella digital transformation e un aumento del Fondi di garanzia per le Pmi. Non basta?
Se le risorse fossero solo queste potremmo ben dire “la montagna ha partorito un topolino”. Non è pensabile per l’Italia agganciare il treno dell’Industria 4.0 senza che si riveda, a livello europeo, il patto di Stabilità. Solo con un grande margine di flessibilità grazie al quale investire in settori strategici riusciremo a rilanciare la manifattura e invertire il trend negativo del Pil. Vanno inoltre sostenuti e valorizzati i campioni nazionali, penso ad esempio a Finmeccanica e a Stmicroelectronics, che possono svolgere un ruolo centrale attraverso le loro soluzioni, il loro patrimonio di competenze e know how. Ma accanto al tema dei finaziamenti c’è da affrontare anche quello della trasformazione del lavoro su cui non sono stati accesi i riflettori.
Che si aspetta la Fiom dal piano italiano?
Prima di tutto un’attenzione sull’impatto che l’Industria 4.0 avrà sulle trasformazioni del lavoro manifatturiero. Non tanto in termini numerici – a Davos è stato detto che da qui al 2020 si perderanno 5 milioni di posti – quanto in termini di fenomeno. Soprattutto per capire di quali professionalità e competenze il Paese avrà bisogno nei prossimi anni e aiutare la scuole e le università a rispondere alla domanda di formazione. E anche per capire come incentivare le imprese a fare formazione, dato la formazione deve diventare centrale in questa strategia. Questo tema è anche al centro del confronto negoziale con Federmeccanica per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Si tratta non solo di creare nuove figure ma anche di aggiornare o riconvertire le professionalità esistenti, laddove possibile, in un’ottica di redistribuzione del lavoro mirata.
A proposito di formazione, il governo finanzierà 4-5 atenei che diventeranno competence center per Industria 4.0.
Non è la strada da seguire, a mio avviso. Si verrebbero a discriminare territori – penso al Sud- che, se adeguatamente spinti, invece potrebbero esprimere eccellenze. La vera sfida è trasformare tutto il sistema formativo nel suo complesso: Industria 4.0 è una sfida Paese e, come tale, va affrontata in maniera sistemica.
Secondo Calenda una leva essenziale nel processo di trasformazione industriale è il salario di produttività. Lei che idea si è fatta?
Sono anni che in questo Paese si sono detassati i premi di produzione, i bonus e quant’altro. Il tutto in un contesto di compressione salariare e di taglio indiscriminato alla spesa pubblica. E l’Italia non è certo diventata più produttiva. La Fiom sostiene, invece, la detassazione degli aumenti salariali del contratto nazionale. Il governo si concentri piuttosto su una politica industriale di ampio respiro che consenta massicci investimenti in Tlc e in innovazione e a rilanciare la spesa pubblica produttiva. La produttività riparte solo in questo modo.