Il valore medio dell’investimento in Ict nelle imprese manifatturiere italiane è pari a 200mila euro (l’1,53% del fatturato). Non solo, c’è un abisso tra le diverse aziende perché si va da quelle che vengono definite “adopters” (cioè che hanno adottato almeno una di 11 tecnologie considerate qualificanti) e le “non-adopters” che addirittura non ne hanno adottata neanche una. La fotografia scattata da un’indagine di Federmeccanica su un campione di 527 imprese aderenti all’associazione, racconta il ritardo sulla diffusione di “Industry 4.0” tra le imprese metalmeccaniche italiane e restituisce una situazione a macchia di leopardo.
Il 64% delle imprese “adopters” dichiara di avere adottato almeno una delle 11 tecnologie considerate e la media degli investimenti è pari a 300mila euro; mentre per il 36% delle “non-adopters” il valore mediano di tale investimento non supera i 30mila euro. Le tecnologie individuate dall’indagine sono: Meccatronica; Robotica; Robotica collaborativa; Internet of Things (IoT); Big Data; Cloud computing; Sicurezza informatica; Stampa 3D; Sistemi di virtualizzazione e simulazione di prodotto; Nanotecnologie; Materiali intelligenti e analisi degli aspetti legati alle competenze manageriali.
Significativo è che, passando alle intenzioni di investimento, “oltre il 50% del totale delle imprese dichiara di non avere intenzione di effettuare alcun investimento nelle tecnologie proposte, con l’eccezione della sicurezza informatica”.
L’indagine conferma invece come la digitalizzazione porti le aziende a ottenere maggiori risultati. Gli “adopters” in media presentano le seguenti caratteristiche: “esportano una quota maggiore del proprio fatturato (44% contro 33%); giudicano elevato il proprio livello di digitalizzazione (37% contro 14%); hanno una quota più elevata di dipendenti laureati (19% contro 12%); investono di più in R&D e formazione, hanno più contatti con Università ed enti di ricerca; considerano più importanti per la propria competitività: la qualità, l’innovatività, la personalizzazione del prodotto e del servizio mentre giudicano il prezzo una variabile meno rilevante.
Il ritardo delle imprese italiane sul tema “Industry 4.0” dunque resta “significativo, soprattutto perché le intenzioni di investimento nei prossimi anni sono mediamente basse, in particolare tra i non-adopters”. In assenza di azioni correttive, sottolinea Federmeccanica, il divario tra le imprese più avanzate e quelle più arretrate è “destinato quindi ad accentuarsi”. Il processo è “cominciato” ma “è ancora in una fase iniziale e necessita di una maggiore e più profonda conoscenza delle tecnologie abilitanti”.
“E’ interessante notare – si legge nella ricerca – che le micro imprese fino a 10 dipendenti, dichiarano un livello di conoscenza delle tecnologie maggiore rispetto alle piccole imprese”.
Per Federmeccanica “occorre un’azione diversificata: le imprese che hanno già intrapreso il percorso dell’innovazione devono percepire meglio l’esistenza della diretta connessione tra le tecnologie e le competenze adottate e le logiche economiche che possono permettere loro di sviluppare nuovi modelli di business. Allo stesso tempo è necessario aiutare i non-adopters a vincere lo scetticismo spiegando che si può adottare un approccio graduale all’introduzione di queste tecnologie: “iniziare in piccolo già da domani ma, pensando in grande”.
La “pressione internazionale (e gli agguerriti competitors) rende però obbligata, nel medio periodo, una reale discontinuità (tecnologica, di competenze ed organizzativa). Sì quindi – per Federmeccanica – ad un approccio graduale (per non lasciare indietro una fetta troppo ampia di aziende) ma nell’ambito di un programma più ampio e di una visione complessiva di politica industriale indispensabile per il Paese”.
“Industry 4.0 – ha affermato Fabio Storchi, presidente Federmeccanica – è più di una sfida, è una rivoluzione industriale in atto (anche se noi preferiamo parlare di evoluzione) a cui dobbiamo partecipare da protagonisti, per consentire alle imprese di intercettare il cambiamento e di non restare esclusi dalle traiettorie competitive dell’industria globale. In questo scenario il ruolo di Federmeccanica è quello di agire come “nodo intelligente”, promuovere e diffondere la cultura dell’innovazione, come indispensabile driver di competitività e crescita dell’Industria italiana. L’economia della conoscenza e la digitalizzazione ormai permeano ogni fase del processo produttivo, rendono interconnesso l’intero ciclo e ridefiniscono le catene del valore e i modelli di business”.
Per Storchi “è di cruciale importanza che le imprese siano consapevoli di questa ineluttabile trasformazione e agiscano per volgerla a proprio favore, per trasformare le minacce in opportunità di crescita e sviluppo. A questo scopo Federmeccanica ha costituito la Task Force “Liberare l’ingegno” che si è posta l’obiettivo di “censire” a livello nazionale le applicazioni pratiche sviluppate dalle imprese associate, con la finalità di metterle a fattore comune, a beneficio di tutti: aziende interessate, parti sociali, lavoratori e attori istituzionali”.