Il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (Cini) ha presentato il 27 settembre il nuovo Laboratorio Nazionale Informatica e Società, in un incontro alla sala della Regina della Camera su “Informatica e diritti: la rivoluzione digitale per la societa”. La Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini ha richiamato i lavori della Commissione per i diritti e i doveri in internet, da lei promossa, con una composizione mista di deputati ed esperti. La Commissione ha pubblicato il 28 luglio 2015 la Dichiarazione dei Diritti in Internet, che disegna il quadro in cui un individuo può essere libero e protetto nell’interazione con la rete, se avviene il riconoscimento esplicito dei suoi diritti digitali. Ha quindi portato avanti l’idea di una costituzione per internet, cara a Stefano Rodotà che di quella Commissione è stato nominato Presidente.
Su quel modello Laura Boldrini ha insediato anche una nuova Commissione, intitolata a Jo Cox deputata inglese vittima del terrorismo nazionalista, che si occuperà della violenza, del razzismo e dell’odio, ossia di quelle forme di oppressione che nella Rete trovano terreno fertile di coltura. Il tema della violenza su Internet va affrontato sul piano culturale e della formazione, ed è per questo che la Camera ha siglato il recente protocollo con il Miur per sensibilizzare il sistema formativo sui temi dei diritti e dei doveri nella rete.
“Dobbiamo fare un’alleanza contro l’odio” ed in particolare contro l’odio nella rete, ha concluso la Boldrini. Paolo Prinetto (Presidente Cini) ha introdotto e moderato l’incontro, che è entrato nel vivo con Juan Carlos De Martin (Politecnico Torino) nel presentare il nuovo Laboratorio del Cini, di cui è Direttore, dedicato a Informatica e Società.
La superiorità degli Stati Uniti nel campo dell’informatica prima e della rete oggi è maturata in un contesto di attenta e approfondita riflessione sull’impatto sociale delle nuove tecnologie: una riflessione che risale ai “padri fondatori” Wiener, Von Neumann e Turing. L’attenzione al sociale, per dirla con il linguaggio odierno l’attenzione ai diritti di Internet, è un fattore essenziale all’affermazione dell’economia digitale e può contribuire al superamento del ritardo dell’Italia. Un ritardo che è dovuto più alla cultura politica e istituzionale che non alla capacità della ricerca e della formazione universitaria, spesso riconosciuta anche all’estero per la sua eccellenza. Dobbiamo superare le difficoltà che il nostro stesso sistema di selezione accademica frappone allo sviluppo delle capacità di cross fertilization, essenziali allo sviluppo interdisciplinare della ricerca e alla diffusione dell’innovazione digitale e della rete.
Il Laboratorio, appena nato, ha già suscitato l’interesse accademico di 50 professori e questo è un segno incoraggiante: è il segno che in Italia possiamo tornare ad eccellere, come ai tempi di Adriano Olivetti, smettendo di autodenigrarci. Il Laboratorio avrà al centro della sua attenzione la cultura digitale, la riflessione su computer e società, con l’obiettivo di “plasmare democraticamente la rivoluzione digitale”.
Luciano Floridi (Oxford) ha esordito con la parabola dell’aceto nella botte di Amarone (qui il redattore si prende una libertà perché era citato un altro vino): ne basta una goccia per rovinare un prodotto eccellente. La rete è una delle più importanti e positive invenzioni della tecnologia e deve poter maturare i suoi frutti in un ambiente dove il rischio di inquinamento sia ridotto al minimo. Il tema non è solo di protezione e sanzione, ma un tema di diffusione della cultura digitale. Questa cultura non può più essere figlia di una visione prometeica con la centralità dell’individuo e dei suoi diritti, siano essi derivanti da Dio o dall’Evoluzione darwiniana: oggi la definizione dell’individualità è relazionale. Dopo la rivoluzione di Cartesio non siamo più al centro dell’universo; dopo quella di Darwin abbiamo capito che l’Architetto ha creato il Paradiso terrestre non solo per noi; dopo quella di Freud non è più la Ragione che da sola ci guida alla comprensione dell’universo e di noi stessi.
Poi l’informatica, con Turing, ha chiarito che anche gli automi possono essere intelligenti e ci fa capire che la nostra peculiarità consiste nel vivere al centro della nostra rete delle relazioni, affettive, politiche, religiose, culturali, professionali. Un diritto che allo stesso Turing, aggiungo io, non fu riconosciuto dallo Stato – il Regno Unito uscito dalla seconda guerra mondiale – al quale pure aveva dedicato ogni frutto del suo immenso lavoro di ricerca. Oggi siamo alla periferia del tutto, di un tutto che tende sempre più ad essere rappresentato dalla rete, i cui sviluppi possono rendere disponibile a tutti la possibilità di correlarsi tra loro e con il centro. Le nostre vite ma anche le nostre identità sono compiutamente relazionali.
Così il tema dell’etica e quello dei diritti dell’individuo entrano direttamente nel campo di azione dei gestori dei social network, dei giganti della rete, cioè di coloro che definiscono e in buona parte governano le reti di relazioni. Vari interventi, che si possono trovare nella web tv della Camera, tra i quali Anna Masera (La Stampa), Luca De Biase (Nòva), Marina Miserandino (Icaro ce l’ha fatta!), Giorgio Ventre (Federico Secondo) Lorella Zanardo (documentarista) che hanno sottolineato questo punto e la necessità di rafforzare l’educazione alla rete, mobilitando oltre alla scuola anche le associazioni e la società civile.
De Biase e Masera hanno esaminato il ruolo dei provider di accesso e di social networking e cioè di compagnie come Twitter, Google, Microsoft, Facebook ecc. Esse si trincerano dietro l’immagine di sviluppatori di nuove tecnologie, cercando di mantenere le mani libere per non dover rispondere sui nodi della privacy, non dover rendere conto dell’aggiramento dei diritti di proprietà intellettuale alle aziende dell’editoria tradizionale e multimediale, non dover sottostare alle norme antitrust e di tutela della concorrenza. In questo modo, le compagnie che assicurano l’accesso alla rete e ai social network cercano dio evitare di assumersi la responsabilità che la gestione delle piattaforme pone. Come insegna la cronaca delle ultime settimane, con il suicidio di persone che hanno subito l’esposizione dei propri comportamenti privati in rete, quelle piattaforme non sono strumenti neutri: esse hanno impatto sulla vita delle persone, la loro potenza è capace di spogliare un individuo della sua identità o di parte di essa. Il tema etico diviene un problema di accountability, che solo lo Stato e la norma possono risolvere, che solo l’affermazione di una cittadinanza digitale consapevole e critica – per riprendere il titolo della prima sessione dell’incontro – può contribuire a radicare nella coscienza dei cittadini.
Le seconda sessione “Per una sicurezza digitale”, moderata da Barbara Carfagna (Rai) è stata aperta da Roberto Baldoni, Direttore del Laboratorio Nazionale CINI di Cyber Security, animatore del Framework nazionale sulla cybersecurity proposto sull’esempio dell’esperienza americana, ha richiamato l’attenzione del decisore politico sull’importanza della cybersecurity. Lo sviluppo della cybersecurity, può essere fortemente agevolato dall’impegno delle istituzioni nella promozione del Framework come infrastruttura composta di competenze, investimenti, tecnologie. Solo così prende corpo uno spazio aperto nella società e nell’economia del Paese, che poggia su una infrastruttura della sicurezza su cui possono crescere gli investimenti internazionali, e si possono sviluppare le competenze che si concentrano nelle tecnologie avanzate. Carlo Blengino (avvocato Centro Nexa) ha ricordato che la consapevolezza della rilevanza dei reati digitali è ancora incompleta nell’esercizio della giurisdizione, dove è carente anche la formazione tecnica, che è necessaria ad avvocati e magistrati per cogliere in pieno la nuova rilevanza della cybersecurity in ambito penale e civile e il concreto impatto dei rischi degli attacchi e dei reati commessi nella rete. Francesca Bosco (United Nations UNICRI) sottolinea il crescente divario tra la dimensione del crimine in rete e la capacità degli individui e delle pubbliche amministrazioni ordinarie di tutelarsi e di tutelare la propria libertà. Le stesse statistiche sul cybercrime sono poco attendibili e comunque non verificabili dalla comunità scientifica, il cui contributo è invece essenziale nel perseguire l’obiettivo della “pace informatica” che sta diventando uno dei temi della riflessione delle istituzioni internazionali.
Stefano Quintarelli, Deputato, Presidente del Comitato d’Indirizzo dell’Agenzia per l’Italia Digitale ha chiuso l’incontro ritornando alla ridefinizione in atto dei diritti individuali. Essa richiede una maggiore consapevolezza che questa nuova dimensione è legata indissolubilmente all’infosfera digitale in cui ciascuno è immesso. Forse nel breve periodo sarà difficile accrescere la “consapevolezza digitale” dei parlamentari, ma si può essere più ottimisti nel medio e lungo termine, perché l’economia si trasforma. Senza la trasformazione digitale l’economia si ferma, facendo mancare anche le risorse pubbliche, già oggi scarse. Questo spostamento del valore aggiunto verso il digitale rende necessaria una maggiore consapevolezza anche tra i parlamentari, forse già a partire dalla prossima legislatura.