CYBERSECURITY

Privacy, allarme sex-extorsion: tre regole per difendersi

Il caso di Tiziana Cantone ha riacceso i riflettori su una minaccia informatica sempre più diffusa. I consigli della Polizia postale: mai concedere amicizia, scambiare messaggi privati o rendere le proprie immagini visibili a sconosciuti

Pubblicato il 10 Ott 2016

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Mai inviare ad altri immagini a sfondo sessuale. Anche quando si tratta di persone conosciute e a noi intime. È questo il consiglio principale della Polizia postale e delle comunicazioni per difendersi dalla trappola della sex-extortion. Si tratta di un fenomeno crescente che, spiegano gli investigatori, che si presenta sotto due fenomenologie: una tipicamente domestica spesso riconducibile a coppie che si separano, con uno dei due che mette in rete immagini intime dell’ex partner (come avvenuto per il caso di cronaca di Tiziana Cantone); l’altra, a dimensione internazionale, dettata esclusivamente da ragioni di profitto.

In quest’ultimo caso tra ricattatore e vittima non esiste alcun legame e gli autori sono quasi sempre localizzati all’estero, soprattutto in Asia e Africa. Per contrastare questa dimensione multi-territoriale del fenomeno la Polizia sta conducendo con regolarità, in collaborazione con Europol e Interpol, operazioni internazionali nel tentativo di indebolire le potenzialità offensive dei gruppi criminali cui quegli autori fanno capo.

Non bisogna mai pagare la somma richiesta – mette in guardia la Polizia – perché dopo il primo pagamento seguono richieste via via più esose”. La prima cosa da fare è bloccare subito il contatto, sia sulla piattaforma social che sulla videochat, inoltrando una richiesta di rimozione del video ai gestori della piattaforma sulla quale il video stesso è stato postato. Il passo successivo deve essere sempre la denuncia. In chiave preventiva, i consigli delle forze dell’ordine sono almeno tre:

  • Mai concedere l’amicizia sui social network a persone che non conosciute anche nella vita reale: concederla significa ammettere una persona estranea in uno spazio riservato come la nostra pagina personale, concedendole un enorme e immotivato vantaggio qualora si tratti di un malintenzionato;
  • Mai scambiare messaggi privati con utenti appena conosciuti e, men che meno, concedere di entrare, attraverso la webcam, nella propria casa e nella propria privacy;
  • Configurare le proprie pagine social in modo tale da renderle invisibili agli sconosciuti.

Il fenomeno viene anche spesso chiamato revenge porn, come avviene in Irlanda dove in questi giorni si è scatenata una bufera contro Facebook proprio su questi casi e dove una causa intentata contro il social network potrebbe portare ad un boom di azioni legali. Il caso in questione è quello documentato dal Guardian – che cita anche la cronaca italiane e il suicidio di Tiziana Cantone – relativo ad una 14enne irlandese.

Il mese scorso un giudice della corte suprema di Belfast aveva respinto il tentativo di Facebook di evitare il tribunale per la vicenda di una ragazza che, tra il 2014 e il 2016, aveva visto la sua foto comparire più volte in una pagina social. La compagnia di Mark Zuckerberg si era difesa spiegando di aver rimosso la foto a ogni segnalazione, ma secondo i legali della minorenne la società avrebbe avuto il potere di prevenire ogni ripubblicazione usando un sistema di tracciamento per identificare l’immagine.

“Un caso come questo rischia di aprire la porta ad altre cause civili contro Facebook e altri social media – spiega Paul Tweed, avvocato dello studio Johnsons -. Abbiamo già visto un aumento nel numero di persone che si rivolgono a noi per saperne di più. In futuro potrebbe diventare un problema serio per i social”.

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