Industria 4.0, in Parlamento niente scherzi!

E’ fondamentale che la legge di Bilancio mantenga gli stanziamenti previsti e che il passaggio parlamentare del bicameralismo perfetto non ne stravolga metodologia e fini innovativi. Di assalti alla diligenza ne abbiamo visti troppi in passato

Pubblicato il 14 Ott 2016

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Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda punta a uno “shock da investimenti”. È la scossa che il governo vuole dare all’economia italiana grazie a una iniezione da 13 miliardi di euro nel prossimo triennio. Non più bandi di gara e scelte ministeriali per l’allocazione dei fondi, ma strumenti indiretti ed automatici come super e iper ammortamenti. Si è calcolato che un investimento di un milione di euro comporti un risparmio fiscale di 360.000 euro in 5 anni.

Si torna, dunque, a fare politica industriale. Non più sotto la guida della burocrazia pubblica (con le note incongruenze e lentezze), ma con la strumenti automatici legati alla volontà degli imprenditori di investire in innovazione digitale.

Non a caso, il piano di Calenda porta il nome di Industria 4.0. E cioè un’industria (manifatturiero ma anche servizi) fortemente digitalizzata, interrconnessa con i propri clienti e col proprio ecosistema, capace di sfruttare le opportunità dei big data, dell’e.commerce, dello IOT, software, piattaforme, soluzioni integrate. Anche le norme per favorire il venture capital nelle startup vanno in questa direzione.

Non, dunque, una “tecnosabatini” ma la rivoluzione digitale che deve entrare nelle aziende italiane, in modo diffuso, in tutto il territorio, dalle (poche) grandi alle (moltissime) piccole e medie imprese. È fondamentale che la legge di Bilancio mantenga gli stanziamenti previsti e che il passaggio parlamentare del bicameralismo perfetto non ne stravolga metodologia e fini innovativi. Di assalti alla diligenza ne abbiamo visti troppi in passato. Piuttosto, si chiarisca definitivamente che anche le innovazioni “leggere”, legate a software e piattaforme digitali, sono comprese negli investimenti da agevolare. Il cuore della rivoluzione digitale sta proprio lì.

Per usare un’espressione del presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania, si tratta di “portare per terra” il piano”. Una responsabilità primaria ce l’hanno proprio le imprese. Le società dell’offerta che dovranno accompagnare la rivoluzione digitale del made in Italy. E le aziende manifatturiere e dei servizi che dovranno fare il grande salto. La disruption digitale, a saperla cavalcare, può riportarci fra i paesi leader. O buttarci ancora più indietro. Terzium non datur. Ovvero, vivacchiare non è più possibile.

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