La Rete e l’impossibilità di essere neutrali

Il mito della libertà del web oggi si infrange sugli interessi delle grandi corporation. Navigare non è più necessariamente sinonimo di libertà. Anche inconsapevolmente siamo sempre più orientati e così l’utopia del libero accesso e della condivisione rischia di restare solo nella testa di pochi. La rubrica di Nicola D’Angelo

Pubblicato il 14 Ott 2016

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Neutrale a chi? La domanda sorge spontanea a leggere le cronache degli ultimi mesi sul ruolo dei grandi motori di ricerca. E non è solo il caso Yahoo (a proposito, non è chiaro se la collaborazione con il governo USA si è limitata per così dire alle mail o anche ai tracciati di ricerca).

Nella campagna elettorale per le presidenziali americane i due candidati hanno assunto i migliori tecnici in circolazione per orientare anche social e algoritmi verso i risultati più convenienti. Il mito della libertà della rete oggi si infrange sugli interessi delle grandi corporation. Navigare non più è necessariamente sinonimo di libertà. Anche inconsapevolmente siamo sempre più orientati e così l’utopia del libero accesso e della condivisione rischia di restare solo nella testa di pochi. Quando alcuni anni fa iniziai a parlare di neutralità della ricerca dei contenuti molti mi guardarono perplessi.

Già la neutralità della rete sembrava un argomento da figli dei fiori, figuriamoci mettere mano al tema degli algoritmi. L’esperienza recente invece ha dimostrato quanto sia importante il fenomeno della distorsione derivante dal potere opaco di pochi grandi gruppi tecnologici che stanno dominando il mondo digitale. Qualcuno forse enfaticamente ha parlato di dittatura dell’algoritmo, ma non c’è dubbio che la misura della nostra libertà nell’epoca di internet si è ridotta. E ciò che è più grave si è ridotta la nostra consapevolezza a riguardo. Pensiamo di scegliere nel vasto mondo delle informazioni, in realtà una mano nascosta ci spinge e nulla possiamo fare per svincolarci. È questo non riguarda solo la politica, ma anche l’economia (ad esempio, le informazioni di mercato) e la nostra stessa attitudine culturale. Il punto cruciale é la mancanza di alternative in una società che sempre più è organizzata anzi pervasa dalla rete.

A meno che non si voglia tornare al passato è dunque necessario uno sforzo collettivo affinché i processi che oggi ci sfuggono diventino, come dice lucidamente Michele Mezza, “intellegibili, condivisi, socialmente negoziabili ed integrabili”. Si tratta di un tema complesso in cui entrano in gioco aspetti tra loro diversi che vanno dalla non discriminazione dei contenuti alla trasparenza dei codici che producono la risposte. I motori di ricerca hanno un ruolo primario nella Società dell’informazione, trattano miliardi di informazioni allo scopo di restituire risultati pertinenti e rilevanti alle interrogazioni di una molteplicità di utenti. L’esecuzione è delegata ad agenti software, realizzati in modo efficiente ma anche collegati all’esigenza di chi li utilizza.

Insomma non una entità astratta, ma un complesso di azioni matematiche e tecnologiche in cui si possono sempre scorgere le impronte digitali dei creatori. Certo la risposta non può essere il controllo soprattutto statale. Sarebbe un male peggiore. Per evitare manipolazioni e l’aggressione sconsiderata alla nostra privacy non rimane che la trasparenza. Ciò vuol dire che dovremo diventare più informati del flusso dei dati, delle entità che ci stanno dietro e imparare a controllare l’uso che se ne fa, insomma chiedere almeno gli stessi standard di apertura che spesso sono imposti a noi utenti.

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