Da qui al 2020 il settore delle soluzioni di analytics per Big Data crescerà del 12% l’anno – attualmente vale i 130 miliardi – raggiungendo i 203 miliardi tra 4 anni. Percentualmente si tratta di una crescita media del 11,7%, in lieve accelerazione rispetto al +11,3% che il 2016 farà registrare rispetto al 2015. Accelerazione che secondo Idc è dovuta in particolare non solo alla tecnologia ma a un cambio culturale che fa propendere verso le decisioni basate sull’analisi concreta dei dati. I settori di applicazione in cui le soluzioni di analytics per Big Data trovano e troveranno maggiore spazio sono banking, manufacturing di prodotto e di processo, PA e servizi professionali. Insieme, questi ambiti muoveranno quasi la metà degli investimenti fino al 2020.
Nel mercato guida il settore bancario con le applicazioni in ambito risk management, prevenzione delle frodi e compliance. Il banking è già oggi il settore con la spesa maggiore (17 miliardi di dollari nel 2016) e registrerà anche la maggiore crescita nel periodo considerato. In generale quasi tutti i settori di applicazione registreranno comunque crescite a doppia cifra per i loro investimenti, da qui al 2020.Dove finiranno tutti questi investimenti? Secondo Idc soprattutto in tecnologia e servizi, che insieme dovrebbero fare un po’ più della metà della spesa in soluzioni di analytics per Big Data. Nel 2020 le aziende si prevede spenderanno circa 60 miliardi di dollari in software e 30 in hardware. I servizi cresceranno del 15 percento circa l’anno, nel software spicca la spesa per tool di query e reporting e per le piattaforme di data warehousing, l’hardware ha una crescita del 8,7%.Dal punto di vista della spesa suddivisa per aree geografiche, gli Stati Uniti resteranno il mercato principale degli analytics per Big Data. Nel 2020 spenderanno qualcosa come 95 miliardi di dollari, quasi la metà di tutta la spesa mondiale. A seguire l’Europa Occidentale, l’Asia-Pacifico (Giappone escluso) e l’America Latina, che sarà da qui al 2020 la regione a maggiore crescita.
I big data, dunque, per esprimere al meglio le loro potenzialità, vanno supportati da soluzioni tecnologiche – gli analytics appunto – in grado di proporre dei modelli per interpretare le informazioni e fornire indicazioni di carattere strategico e tattico per le aziende.
Secondo i dati dell’Osservatorio Big Data Analytics and Business Intelligence del Politecnico di Milano, proprio questi temi rappresentano una priorità per le imprese. “I Big data rappresentano le priorità di investimento per il 44% dei Cio anche in Italia, per un mercato che stimiamo valga 790 milioni di euro – commenta Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence – Oggi è il momento di evolvere da preziose ‘insight’ basate sui dati ad una sistematica strategia ‘data-driven’ che permetta di acquisire vantaggio competitivo e di monetizzare servizi a valore aggiunto basati sull’analisi dei dati”.
Banche, industria manifatturiera e telco-media coprono, oggi, oltre il 60% della domanda di analytics; il comparto assicurativo, fermo al 5%, segna però il più alto tasso di crescita (oltre il 25%). “Rispetto allo scenario internazionale – spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio – l’Italia sfrutta ancora poco i dati provenienti dalla localizzazione, dai sensori e dai social. Nonostante il peso dei dati relativi alle transazioni sia destinato a ridursi a favore di quelli provenienti da sensori, open data, localizzazione e social, meno della metà di tutti i dati viene analizzato ricorrendo ai sistemi di analytics. Il terreno dei big data è ancora da coltivare: all’interno del campione analizzato l’87% o non dispone di alcuna progettualità su questo tema o si trova ancora in una fase pilota; solamente il 17% dichiara un utilizzo dei big data, anche se limitato ad alcuni ambiti specifici (gestione frodi, analisi indicatori azionari e di comportamento della clientela)”.
Lo si intuisce dalla ricerca di nuove competenze e di nuovi modelli di governance, che iniziano ad affacciarsi tra le aziende più sensibili. Se i Cio sono ancora i principali riferimenti per il controllo e la gestione dei sistemi di analytics, le nuove funzioni di chief data officer e di data scientist, iniziano ad affacciarsi nell’ambito delle strutture organizzative, forti di specifiche competenze, per esempio, nella gestione di team multifunzionali o nella modellazione di problemi complessi.