Cosa s’intende per città – case, territorio, istituzioni – oppure lavoro, abitudini, relazioni? E se il concetto fin qui conosciuto venisse destrutturato a favore di una definizione più “open”? Domande incisive alla vigilia del referendum costituzionale (modifiche ai rapporti Stato-Regioni, eliminazione del riferimento alle province), e in un periodo in cui si stanno ridefinendo a livello istituzionale ruoli e compiti delle amministrazioni italiane. Domanda che si è posto – all’evento ICityLab – fra gli altri Sandro Cruciani, Istat (Direttore della Direzione centrale per le statistiche ambientali e territoriali), alla ricerca di nuovi paradigmi su cui costruire la piattaforma urbana del futuro: “Un conto è parlare di città, un conto è parlare di area urbana, un conto è parlare di città metropolitana. Cambiando queste dimensioni e queste definizioni, implicitamente cambiamo le decisioni. Quindi le policy vengono influenzate da queste differenti definizioni che siamo in grado di adottare”. Nel cantiere di Istat ne è stata mutuata una e prenderà la forma di una proposta che ridisegna l’urbanizzazione in Italia letta a 360 gradi.
Sul tema “città” “stiamo rilanciando su un altro contesto, ovvero sulle principali realtà urbane – dice Cruciani -: il nostro elemento d’interesse e di focus è il sistema locale che afferisce a città di grandi dimensioni. I sistemi locali sono realtà di somme di Comuni che si aggregano sulla base di un’autorganizzazione fatta sui flussi di pendolarismo quotidiano: quindi luoghi dove le interrelazioni tra le persone, tra i lavoratori, tra il loro luogo di residenza e il luogo di lavoro interagiscono e costruiscono nei fatti un sistema omogeneo e abbastanza autocontenuto”. Una caratteristica “che ci piace sottolineare perché è una definizione non amministrativa, non morfologica e quindi non basata sull’edificato, ma sulle persone che costruiscono nei fatti la città, che generano domanda di servizi, d’infrastrutture, di mobilità, di ambiente e tanto altro. Da questo punto di vista ci sembra che questo elemento territoriale sia funzionale allo studio delle città e più che delle città, delle realtà urbane”.
“Credo sia di grande valore non soffermarci troppo sulla definizione amministrativa dei confini – dice Paolo Testa capo Ufficio Studi Anci -, ma guardare invece al lavoro che le città metropolitane stanno già facendo in modo molto approfondito, soprattutto attraverso la redazione dei piani strategici di organizzazione in aree omogenee, territori omogenei, unioni di comuni come accade qui nella città metropolitana di Bologna. Parliamo di sottoterritori, subterritori, che hanno una loro significatività anche amministrativa, perché l’organizzazione in aree territoriali omogenee o ancora di più in unioni di comuni ha un significato anche amministrativo non trascurabile”. Tema di primo piano le “piccole capitali”, “città di medie-grandi dimensioni che raggiungono delle performance di eccellenza su molte leve e in molti ambiti. Anci sta lavorando sul tema del riordino territoriale”.
“Servono politiche vere di aggregazione per i Comuni. I singoli Comuni spesso non sono in grado di raggiungere certi obiettivi che oggi ci siamo posti – dice Matteo Ricci sindaco di Pesaro -. Quindi come Anci abbiamo proposto al governo e al Parlamento un criterio differente di aggregazione dei comuni, che già in alcune realtà si sta facendo, che è quello dei bacini omogenei. Da questo punto di vista l’Emilia-Romagna è un esempio virtuoso, perché all’interno di ogni “provincia” ci sono dei bacini omogenei, per motivi socio-economici, morfologici, storici e quei luoghi devono diventare sempre più luoghi di gestione associata della pubblica amministrazione, dei servizi e di conseguenza luoghi in grado di portare avanti politiche di innovazione”.