Da dove si parte per costruire una smart city: dalla politica o dalla tecnologia? La risposta non è scontata. La governance delle città intelligenti si gioca in una partita i cui risultati dipendono fortemente dal ruolo dei giocatori in campo. “Le tecnologie sono uno strumento, ma a livello globale tecnologie e piattaforme digitali competono per prendere il monopolio delle comunità. Dall’altro lato la politica sta perdendo la propria forza di gestione delle comunità. Noi dobbiamo fare i conti con questo aspetto”. Lo dice Matteo Lepore Assessore di Bologna all’Economia e promozione della città, Immaginazione civica, Sport e Patrimonio nel corso dell’evento ICityLab. “Negli anni scorsi abbiamo molto ragionato di tecnologie, d’infrastrutture tecnologiche. Tutti gli assessori e i sindaci che hanno partecipato ai vari convegni avevano provato ad esercitarsi sul tema smart city per poi trovarci in difficoltà quando occorreva mettere a terra i vari bandi e protocolli. Abbiamo cercato di costruire strategie, abbiamo cercato di mappare i bisogni delle nostre comunità, ma poi ovviamente ognuno di noi era preso ed è preso dalla gestione della complessità urbana”.
In Italia più del 70% della popolazione vive in comuni piccoli e medi. A differenza di altri Paesi in cui il tema smart city è stato sperimentato anche in modo arduo, costruendo intere città nel deserto, noi – dice Lepore – “abbiamo una cultura, una comunità, una densità urbana fortissima, un paesaggio, un patrimonio e un know-how che esiste da secoli. Dobbiamo partire da lì se vogliamo parlare di intelligenza urbana, di cambiamento e il paesaggio, le aree urbane, i contenitori pubblici e privati, soprattutto quelli che danno servizi, a mio avviso sono il punto di partenza, la vera infrastruttura da cui partire per pensare all’intelligenza urbana”.
Sono i luoghi e gli spazi ad abilitare la comunità a partire dai piccoli gruppi di cittadini che si aggregano per intraprendere un’iniziativa fino alle grandi imprese che decidono di investire in un territorio per assumere persone, sviluppare nuovi prodotti. “Per questo servono nuove griglie di lettura in grado di incidere in un Paese progettato sui grandi investimenti pubblici del dopoguerra e ora alle prese con una realtà totalmente diversa” dice Lepore. Ma se partiamo dalla tecnologia “come abbiamo cercato di fare negli scorsi anni, in Italia partiamo dalla questione che indebolisce e non rafforza”.
Al centro del nodo il tema della gestione dei dati, “tema sul quale la politica e le istituzioni si confrontano per essere protagoniste. Non per regalare i dati alle grandi piattaforme digitali: ma se Zuckerberg viene in Italia e incontra Renzi e il Papa qualche tema politico è sottinteso. Allora rendere consapevoli le nostre comunità, dare gli strumenti agli organizzatori per non essere soggetti passivi, ma attivi di questa discussione credo che sia una grande sfida, nella gestione delle grandi cose come per le piccole. Vale per Milano, per Bologna come per i piccoli comuni del nostro territorio. Proprio perché il tema è quale gestione delle comunità, vedo importante la scelta del presidente del consiglio sulle periferie, che ha tanti contenuti, anche quello dei giovani, dell’inclusione, ma è una scelta strategica e un segnale concreto e giusto in questa direzione”.
La sfida bolognese. “Abbiamo messo a punto un atto d’indirizzo che prevede la nascita di due task force, una dedicata alla legalità e alla sicurezza e un’unità di governance legata all’immaginazione civica. Per noi l’ufficio dell’immaginazione civica è lo strumento che mette insieme i fondi europei del PonMetro, 40 milioni di euro. Punta a coordinare patrimonio pubblico e se riusciamo privato della città e gli strumenti normativi. A livello d’informazioni e di conoscenza i dati sono fondamentali per far sì che questa integrazione ci possa essere, sia i dati aperti sia le grandi aggregazioni di dati. Nel PonMetro abbiamo dedicato circa 6 milioni di euro all’agenda digitale metropolitana: l’idea è di far scalare la rete civica del comune di Bologna su un livello metropolitano per avere un’unica identità digitale compatibile con quello che si sta facendo al livello Spid. L’obiettivo è riservare parte di questo budget esclusivamente al tema dei dati, in collaborazione con l’Emilia-Romagna che con tutti i centri di ricerca e universitari ha aperto da un anno un grande programma sul tema dei Big Data. Può Bologna insieme alle altre città dell’Emilia-Romagna essere una piattaforma urbana al di là dei confini che è a disposizione di una strategia nazionale? Possiamo immaginare insieme a Milano di costruire progetti per lo sviluppo del paese? Io penso di sì perché ormai i professionisti delle impresesi spostano, i flussi dei dati scorrono già, le infrastrutture ci sono già e lo possiamo fare non per costruire un programma manifesto per andare sui giornali, ma nella logica di cambiare l’economia di questo paese”.