Google darà risposte puntali alle accuse di abuso di posizione dominante mosse dalla Commissione europea, con tre difese separate per i tre dossier aperti dall’Antitrust Ue. Anzi, le prime due risposte sono appena arrivate, quella relativa al caso Google Shopping, il servizio di shopping comparativo di Big G, e quella sul dossier Adsense, il servizio di online search advertising; entro l’11 novembre arriverà la replica relativa all’accusa di abuso di posizione dominante per il sistema operativo Android.
Google ha impostato la sua difesa su un argomento preciso: la Commissione Ue ha condotto un’analisi parziale e non comprende il funzionamento della digital economy. Nel caso di Shopping, per esempio, Big G sostiene che la Commissione abbia formulato le sue accuse studiando un gruppo troppo ristretto di siti rivali e afferma che comunque la maggior parte degli utenti fa compere da piattaforme mobili con app dedicate: quindi, di nuovo, l’Europa non coglie le caratteristiche reali del mercato.
“Google cerca sempre di trovare il modo migliore per connettere gli utenti con le informazioni che interessano loro e utilizza questo approccio anche per lericerche sullo shopping online, e quindi ‘dissente’ dalle accuse della Commissione Ue secondo cui ‘Google Shopping‘ danneggia la concorrenza” è, in sintesi, la replica del colosso americano. Google spiega che la sua condotta non restringe la concorrenza né danneggia i competitor più piccoli, come sostiene la Commissione che ha avviato l’indagine proprio su richiesta di attori del mercato più piccoli che affermano di perdere ‘click’ a causa di big G.
La risposta di Google alla Commissione Europea arriva attraverso un blogpost del gigante del web che oggi ha depositato la seconda risposta a Bruxelles. “Come abbiamo detto l’anno scorso nella nostra risposta allo Statement of Objection (So) originale della Commissione Europea, riteniamo che le accuse siano sbagliate, dal punto di vista dei fatti, legale ed economico” scrive sul blogpost Kent Walker, Svp and General Counsel – “Lo statement originale della Commissione -spiega Walker- ha tracciato una definizione così ristretta dei servizi di shopping online da escludere perfino servizi come Amazon. Ha sostenuto che, mostrando gli annunci pubblicitari migliorati del servizio shopping, avremmo ”favorito” i nostri servizi e che questo era un male per una manciata di siti comparatori di prezzi che sostenevano di aver perso dei clic da Google”.
Tuttavia, prosegue il post, “ha omesso di prendere in considerazione il significato concorrenziale di aziende come Amazon e le dinamiche più ampie dello shopping online. La nostra risposta ha dimostrato che lo shopping online è fortemente competitivo, con molte evidenze a sostegno della conclusione di senso comune che Google e molti altri siti sono all’inseguimento di Amazon, di gran lunga il più grande attore in questo campo. Abbiamo poi dimostrato che i nostri annunci pubblicitari migliorati erano utili per gli utenti e per i rivenditori”
Il post di Walker spiega che Big G “non è mai scesa a compromessi con la qualità o la rilevanza delle informazioni che abbiamo mostrato; al contrario, le abbiamo migliorate. Questo non significa ‘favorire’ – significa ascoltare i nostri clienti”. Questa estate la Commissione ha inviato una nuova versione del caso definita Statement of Objection Supplementare che, sottolinea Google, “non presentava una nuova teoria ma sosteneva che, dal momento che siti come Amazon a volte pagano siti comparatori di prezzi per reindirizzare traffico al loro sito, non possono essere considerati concorrenti. Eppure molte aziende si trovano a competere e cooperare contemporaneamente“.
Inoltre, secondo il colosso di Mountain View, Bruxelles non considera quanto sia diverso lo shopping online rispetto a 7 anni fa, quando fu aperta l’indagine. “I consumatori non vanno soltanto su un motore di ricerca, cliccano su un sito di comparazione di prezzi e poi sul sito del venditore, ma raggiungono il sito attraverso molti modi, dai social media agli annunci online forniti da diverse società. Di conseguenza, anche i venditori hanno molti più modi di prima per raggiungere i clienti. Soprattutto via smartphone, visto che la metà del traffico internet oggi viaggia su mobile”. Il blog cita anche uno studio tedesco che dimostra come un terzo di coloro che fa acquisti online si rechi direttamente su Amazon, e solo il 14,3% si rivolga direttamente a Google.
Google respinge anche la proposta della Commissione di raggiungere un accordo in base al quale Google dovrebbe inserire ads di concorrenti nei suoi risultati di ricerca: l’azienda di Mountain View lo definisce una forma di aiuto di Stato a siti di shopping comparativo che i consumatori non trovano utili e cui verrebbero regalati spazi pubblicitari.
Sul caso AdSense for Search business, Google ha invece detto di aver sempre avuto concorrenza da rivali come Microsoft e che comunque le clausole considerate anticoncorrenziali dall’Ue non esistono più nei suoi contratti dal 2009.
Sono anni che Google è alle prese con accuse e inchieste in Europa per il predominio nei mercati della ricerca, della pubblicità online e delle piattaforme mobili. Il commissario Antitrust Margrethe Vestager ha adottato una linea dura per assicurarsi che i grandi gruppi dell’hitech americani seguano le regole dell’Unione e non ottengano sleali privilegi – come accaduto per esempio, secondo quanto decretato dalla Commissione, con le agevolazioni fiscali di Apple in Irlanda. Heiko Maas, ministro della Giustizia tedesco, ha detto che la normativa antitrust europea deve fare di più per proteggere i consumatori e che le regole vanno aggiornate all’era digitale.
L’esito dei dossier Google sarà determinante per tutto il settore hitech perché creerà un importante precedente sulle questioni antitrust per la digital economy. Bruxelles, una volta visionati i documenti della difesa di Mountain View, ha tre opzioni: lasciar cadere (improbabile), cercare il patteggiamento (probabile, secondo il Financial Times) oppure adottare la linea dura e imporre multe salate “dissuasive” nei casi di Android e Shopping (probabile secondo l’agenzia Reuters, che calcola che ciascuno di questi due casi potrebbe implicare una multa da 7,4 miliardi di dollari o il 10% del fatturato globale di Big G).
La replica nel caso Android, attesa per la prossima settimana, è considerata la più rilevante: Google dovrà convincere gli uffici della Vestager che il suo sistema operativo e le app preinstallate sugli smartphone non soffocano, ma favoriscono la concorrenza e rendono l’ecosistema Android “sostenibile”.