Poco più di 400mila richieste di attivazione e meno di 200mila
caselle funzionanti. A oltre sei mesi dal lancio, la Posta
elettronica certificata è ancora lontana dalla quota di un milione
di adesioni auspicata dal ministro Brunetta per la fine del 2010.
Ma se è ancora presto per parlare di flop, certo è che qualcosa
non ha funzionato se gli italiani, nel corso di questi mesi, non
hanno aderito in massa al servizio “Posta certificat@” lanciato
da Palazzo Vidoni ed erogato da Poste Italiane e Telecom
Italia.
E anche le PA sono diventate una sorta di “freno” allo sviluppo
del servizio, soprattutto sul versante dell’utilizzo: nonostante
la maggior parte degli enti pubblici centrali e locali (11mila per
un totale di quasi 19mila caselle) abbia al suo attivo almeno una
casella Pec sono rari in cui queste vengono usate per dialogare con
i cittadini. Situazione che riguarda in particolar modo i Comuni,
le amministrazioni con cui gli italiani hanno contatti più diretti
e frequenti. Fra i motivi di ridotto utilizzo da parte dei Comuni,
c’è l’incapacità, da parte della Pec, di imporsi su sistemi
digitali preesistenti. “Gli uffici comunali hanno già attivato
da tempo canali telematici per accedere ai servizi – spiegano da
Ancitel -. Il Cad del 2005 obbligava a pubblicare sui siti
istituzionali moduli pre-compilati per l’accesso, ad esempio,
agli asili nido oppure per la gestione dei tributi locali. E la PA,
a sua volta, può obbligare i cittadini ad usare quel modulo, pena
il respingimento della richiesta”.
Procedure consolidate che la Pec non riesce a scalfire. Questo
perché i servizi telematici “imitano” la navigazione via Web.
Chi è già un cittadino “digitale” vuole operare sui portali,
magari raggiunti tramite i motori di ricerca più famosi, come
Google e Yahoo!: l’e-mail è vista come uno strumento aggiuntivo
non strettamente necessario. Chi, invece, è in una situazione di
digital gap culturale non si pone affatto la questione
dell’utilizzo delle prestazioni telematiche e continua a
rivolgersi agli sportelli dove, però, non trova nessuno che
ricordi l’esistenza della Pec e delle facilitazioni ad essa
connesse.
“La carenza di cultura digitale porta gli italiani a fidarsi
della carta più che della e-mail certificata – spiega Andrea Lisi,
presidente dell’Anorc, l’Associazione Nazionale per Operatori e
Responsabili della Conservazione Digitale -. Per superare questa
diffidenza il ministero non ha messo in campo strumenti di
informazione e formazione rivolti a utenti e PA per mettere
entrambi nelle condizioni di operare con il nuovo strumento”.
Al conflitto con i servizi alternativi dei Comuni e alla carenza
informativa si aggiunge la questione dell’“identità” stessa
della Pec che ha valore di domicilio fiscale dove inviare multe,
cartelle esattoriali. Antonino Mazzeo, docente e responsabile del
Dipartimento di Informatica e Sistemistica dell’Università
Federico II di Napoli, nonché uno dei maggiori esperti di Pec,
ricorda che “agli italiani non piace non avere il controllo della
propria corrispondenza, soprattutto quando si tocca il tasto
dolente delle sanzioni”. Con la Pec, infatti, “una volta
inviato il plico telematico e ricevuto il messaggio di ritorno,
l’ente dà per notificato il documento a prescindere
dall’apertura del messaggio di posta da parte del
cittadino”.
Inoltre al lancio della e-mail certificata non ha fatto seguito la
necessaria trasformazione dei processi interni all’ente. “La
Pec non è stata inserita in un più ampio processo documentale
digitale – dice ancora Mazzeo – con l’inclusione del servizio
all’interno di un workflow che investa tutti i processi
amministrativi”.
“Le PA si sono ritrovate ad avere uno strumento che non riescono
ad inserire nell’attuale organizzazione del lavoro – sottolinea
ancora Mazzeo – Tale questione, ovviamente, va direttamente ad
impattare nelle comunicazioni con il cittadino a cui arrivano
servizi a singhiozzo e poco efficienti”.
Infine il nodo professionisti. Il progetto Posta certificat@ ha
creato un doppio e confuso binario di comunicazione PA-cittadini e
PA-professionisti. Il servizio è esclusivo per i rapporti con
l’amministrazione, motivo per cui i professionisti, che invece
erano già stati obbligati ad attivare una casella a pagamento a
fine 2009 e più di altri dialogano con il pubblico, inoltrando
istanze o documentazioni per conto dei cittadini si trovano a
gestire due strumenti simili. “I professionisti hanno digerito
male la Pec – conclude Lisi -. Prima sono stati obbligati ad aprire
una e-mail a pagamento e poi il governo ne ha lanciata un’altra
gratuita. Dov’è la semplificazione?”.