Futuri ingegneri delle Tlc. Non basta la riforma Gelmini

Revisione della formula del “3 più 2”,  interventi istituzionali a lungo termine, cooperazione sistematica delle imprese. Ecco come, secondo uno studio del Quadrato della Radio, il sistema università può affrontare la “crisi di vocazione” delle professioni Ict e spingere sulla crescita economica

Pubblicato il 03 Dic 2010

L'università per i futuri ingegneri delle Tlc deve cambiare.
Trasformando l’attuale formula del “3 più 2” in due corsi
assolutamente separatati, in parallelo e non in sequenza, con
finalità completamente diverse: formare competenze tecniche
specialistiche ed operative il corso dei tre anni, competenze di
carattere interdisciplinare e generali il corso dei cinque anni. I
piani di studio devono essere molto diversi tra loro, salvo una
piattaforma di competenze di base comuni, e profondamente diverse
rispetto a quelli attuali. Dev’esserci la possibilità di
differenziare anche il titolo di riconoscimento alla fine del
corso. Infine, la scelta fra i due indirizzi dev’essere fatta a
monte al momento dell’iscrizione e non nel corso degli studi.

E’ la proposta che emerge dallo studio condotto
dall’Associazione del Quadrato della Radio sulla formazione
professionale dei nuovi ingegneri e sulle criticità che si
riscontrano nell’inserimento nell’attività lavorativa con
particolare riferimento al laureati nelle discipline di informatica
e di Tlc.

Secondo l’analisi l’Italia, alle prese con le dimensioni del
suo debito pubblico (siamo il 131° Paese nella classifica stilata
dal World Economic Forum) e con le proprie debolezze in termini di
competitività e di produttività (siamo al 48° posto nella
classifica della competitività globale ed al 20° posto tra i 27
Paesi EU) ha puntato a mantenere sotto controllo i propri conti
pubblici non prevedendo, contestualmente, una strategia di
investimento.

Per uscire da questa crisi, anche dinanzi ad un problema rilevante
di mancanza di risorse, non è sufficiente tagliare, ma occorre una
vision di lungo periodo e mettere in atto scelte strategiche
conseguenti investendo su quei fattori che, migliorando la
produttività e la competitività, consentano di garantire una
crescita economica sostenibile.

Tra i fattori che possono incidere sulla ripresa economica un peso
crescente assumono quelli legati in particolare alla conoscenza, al
sapere ed all’esperienza delle persone. E’ stato stimato che
intervenendo su alcuni fattori (liberalizzazioni, semplificazione
del sistema burocratico, infrastrutture, costi dell’energia) nei
prossimi venti anni il nostro PIL potrebbe aumentare del 28%; la
Riforma della Scuola e del Sistema della Formazione, da sola,
potrebbe consentire un incremento del 13%.

Riformare l’università non basta, dice lo studio. Le riforme non
possono riguardare solo le strutture universitarie o i contenuti
dei piani di studio o i regolamenti e le normative, ma devono
essere accompagnate da politiche e da interventi incentivanti, come
politiche fiscali adeguate, criteri e piani di allocazione risorse,
etc, a sostegno degli obiettivi complessivi e funzionali agli
interessi del Paese. Occorre avere una “vision” di sistema ed
esprimere una “governance” del processo.

Del resto lo studio mette in luce che il problema più urgente è
il drastico calo delle iscrizioni ai corsi di ingegneria
informatica e di telecomunicazioni (pur a fronte di una sostanziale
tenuta delle iscrizioni complessive alla facoltà di ingegneria).
Queste discipline sembrano non suscitare più l’appeal di un
tempo nei confronti dei giovani, e le ragioni vanno ricercate
soprattutto nel cambiamento dello scenario economico ed industriale
del nostro Paese.

Inoltre l’università non riesce ad adattarsi alle nuove
richieste del mercato. Le aziende oggi hanno prevalentemente
bisogno di due tipologie di professionalità: tecnici con
competenze molto specialistiche in grado di operare direttamente ed
immediatamente sugli impianti. E ingegneri professionisti con
competenze di base ad ampio spettro e di tipo interdisciplinare
capaci e preparati per gestire la complessità considerando tutti
gli aspetti che compongono un problema:tecnici, economici,
finanziari, di risorse umane.

Eppure la laurea attuale fornisce ai primi competenze più teoriche
che pratiche (quindi, poco utilizzabili operativamente), ai secondi
una competenza elevata, ma con un taglio prevalentemente
specialistico e scarsamente interdisciplinare. Il risultato è che
si impiega troppo tempo per formare competenze che non servono allo
scopo mentre si tralascia di formare le competenze che occorrono
alle imprese.

Per questo serve adottare una logica di “università aperta” e
di “azienda estesa”, dove i confini vengono trasformati in aree
di contiguità e di lavoro congiunto con vantaggi per entrambi i
soggetti e, soprattutto, per i giovani laureati.
Le associazioni Industriali, nella loro articolazione centrale
(Confindustria) e territoriale, possono giocare un ruolo
particolarmente significativo ricercando soluzioni che possano
costituire un punto di equilibrio tra capacità di risposte alle
esigenze delle imprese presenti sui territori, da un lato, e
l’esigenza di formare culture professionali con un respiro ed una
capacità di confronto sul piano internazionale, dall’altro.

Le istituzioni rappresentano il terzo attore di questo “Triangolo
della Conoscenza” e sicuramente sino ad oggi non hanno brillato
per la loro presenza. Le riforme non possono riguardare solo le
strutture universitarie o i contenuti dei piani di studio o i
regolamenti e le normative, ma devono essere accompagnate da
politiche e da interventi incentivanti, come politiche fiscali
adeguate, criteri e piani di allocazione risorse, etc, a sostegno
degli obiettivi complessivi e funzionali agli interessi del Paese.
Occorre avere una “vision” di sistema ed esprimere una
“governance” del processo.

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