Il matrimonio ufficiale tra Google Nexus S e la nuova versione di
Android (la 2.3, detta anche Gingerbread) è solo parte della
notizia che gira intorno al lancio (ieri a San Francisco in
occasione dell'evento "D: Dive Into Mobile") del
nuovo smartphone di Big G: la vera novità è il cambio nella
strategia di vendita di Google, che si affida oggi ai punti vendita
"fisici".
Nexus S, fabbricato da Samsung, sarà infatti disponibile da metà
dicembre negli Stati Uniti in tutti i negozi della catena Best Buy,
al prezzo di 529 dollari, oppure a 199 dollari insieme a un
contratto di due anni con l’operatore T-Mobile. Dal 20 dicembre
il Nexus S arriverà anche in Gran Bretagna presso Best Buy e
Carphone Warehouse. Quest’ultima offrirà il Nexus S a 35
sterline al mese con contratto di 24 mesi con Vodafone, oppure
senza sim a 549,95 sterline. Il Wall Street Journal spiega che
Google non guadagna dalla vendita diretta dei suoi smartphone e che
il sistema operativo Android viene dato in licenza gratuitamente a
Samsung (e agli altri produttori di hardware): il ritorno per Big G
sta nell’adozione capillare di Android che assicura il predominio
sui device mobili dei servizi (ricerca, mappe e altro) di
Google.
La scelta da parte di Mountain View di non vendere più lo
smartphone online serve ad assicurare al nuovo Nexus S una maggior
diffusione rispetto al precedente modello, disponibile solo sul web
store Google – una scelta che, a detta degli analisti, si è
rivelata un flop, anche se Google sostiene di aver venduto 100mila
pezzi in tre mesi. Oggi il web store Google è chiuso- una
dimostrazione che, qualunque siano stati i risultati di vendita del
primo Nexus, il colosso della ricerca è ancora abbastanza
flessibile da modificare le proprie strategie per adeguarsi alla
risposta del mercato.
Flessibile e attento: Google non smette di cercare tecnologie con
alto potenziale di crescita. Nei giorni scorsi l'americana ha
finalizzato due acquisizioni portando a quota 42 il totale delle
società comprate nel 2010. I vertici del gruppo hanno deciso di
puntare sul settore multimedia per le spese pre-natalizie,
scegliendo Phonetic Arts e Widevine (non si conoscono i termini
finanziari).
Widevine va ad arricchire le conoscenze degli ingegneri Google in
materia di distribuzione online di contenuti in streaming: Widevine
in particolare è una delle aziende più all’avanguardia nella
protezione dei contenuti tramite Drm, ma l’acquisizione da parte
di Google mira anche a migliorare la fruizione dei contenuti in
streaming su diverse piattaforme, fisse e mobili, compresa la
Google Tv, progetto sul quale la società di Mountain View ha
puntato molto ma che non sta al momento restituendo i risultati
auspicati. “Il video streaming sta rapidamente diventando il modo
standard per gli utenti per usufruire all’istante dei contenuti,
come su YouTube, dove vengono visionati ogni giorno 2 miliardi di
video, ma anche sui servizi di cinema online in abbonamento o sui
tablet”, commenta Mario Queiroz, Google vice president of product
management.
Phonetic Arts è invece specializzata nella sintetizzazione vocale
e con questa acquisizione Google punta alla realizzazione di nuovi
prodotti in cui il computer parla all’utente. Le tecnologie
sviluppate da Phonetic Arts potrebbero essere presto introdotte in
numerosi servizi targati Google, compresi quelli per la navigazione
satellitare o la traduzione di testi. “Google sperimenta da
qualche tempo nel settore delle tecnologie vocali con strumenti che
traducono la voce in testo (input vocale delle ricerche o dettatura
delle email) o viceversa che leggono il testo all’utente, per
esempio nelle traduzioni”, spiega lo speech technology manager
Mike Cohen.
Infine, poiché Google non si ferma mai e la search, insieme
all'advertising, resta il core business, il gigante di Mountain
View si sta muovendo anche per controbilanciare le perdite di quote
di mercato in Cina (dove, come noto, ha dovuto notevolmente
ridimensionare la sua presenza) espandendo aggressivamente la sua
attività di posizionamento di pubblicità video e banner su siti
terzi, come spiega il suo top executive in Cina John Liu al
Financial Times.
“Negli ultimi 12 mesi, la Cina è stata uno dei maggiori mercati
display del mondo per Google e continua a crescere rapidamente”,
dichiara il vice-president for greater China operations
dell’azienda americana. Il mercato “display” si riferisce
all’attività di Google, in forte crescita, di advertising
network, cioè le pubblicità sulla rete di siti partner, non
quelle accanto ai risultati di ricerca sul suo proprio sito. La
scommessa sulle entrate del settore display in Cina rispecchia la
strategia globale di Google, delineata dal Ceo Eric Schmidt, che
individua in questo segmento uno dei massimi driver di crescita;
Liu sostiene che il mercato cinese delle display ads sia ancora
più grande di quello per le search ads. La società di ricerche
eMarketer lo conferma: il mercato display del Paese asiatico varrà
1,78 miliardi di dollari quest’anno, contro gli 1,44 miliardi
delle search ads.