Finisce l’era del monopolio nei servizi postali, ma la
liberalizzazione apre un mercato ancora senza concorrenti forti
“nell’ultimo miglio” di Poste Italiane. Dal primo gennaio
l’area “di riserva” della società pubblica viene abolita e
altri operatori potranno distribuire anche la corrispondenza sotto
i 20 grammi.
Gli unici settori esclusi dalla concorrenza restano gli atti
giudiziari e la filatelia. Il servizio universale – l’obbligo di
consegnare la posta anche dove è antieconomico – resta esclusiva
di Poste italiane fino al 2016 e per questo riceverà un rimborso
statale. La Spa del Tesoro mantiene dunque una posizione dominante
su un mercato che complessivamente vale 3,5 miliardi. L’unico
vero rivale per Poste al momento è Tnt Italia, sussidiaria del
gruppo olandese, che ha una quota di mercato del 4-5% e
l’obiettivo di portarla al 20%. I due operatori hanno tuttavia
dimensioni molto diverse: gli olandesi sono in Italia con meno di
5mila dipendenti, mentre la società pubblica ne ha 150mila; Tnt ha
vendite nette per meno di 800 milioni, Poste ricavi per 20
miliardi.
La liberalizzazione arriva con un decreto legislativo approvato dal
governo il 22 dicembre, a completamento del processo di apertura
del mercato postale iniziato nel 2006.
Un provvedimento che dovrà ricevere i pareri delle commissioni
parlamentari entro il 7 febbraio, per poi essere approvato
definitivamente dal Cdm con effetto retroattivo al primo gennaio
(termine imposto dalla direttiva Ue del 2008).
La vigilanza sul mercato postale – prevede il provvedimento del
ministro per lo Sviluppo economico, Paolo Romani – spetterà a una
nuova agenzia, da istituire sotto il cappello del ministero.
Agenzia finanziata da un fondo di compensazione cui tutte le
aziende del settore contribuiranno e che sarà creata accorpando
gli uffici di via Veneto che fino ad ora hanno seguito la
materia.
E proprio la questione dell’autorità ha acceso polemiche tra
governo e opposizione che invece vuole il riconoscimento di
funzioni di controllo all’Agcom. Per Mario Lovelli, membro Pd
della Commissione Trasporti e Tlc della Camera avere scelto
un’agenzia ministeriale “è una questione controversa che si
scontra con la filosofia stessa delle liberalizzazioni: non è
pensabile che, in regime di concorrenza, le regole siano decise da
un organismo che dipende dal ministero. Si snaturano le indicazioni
di Bruxelles, oltre a far proliferare agenzie che spesso soffrono
per mancanza di fondi e personale”.
Anche per Paolo Gentiloni, ex ministro alle Comunicazioni,
l’Agcom è “la naturale agenzia a cui affidare la vigilanza”
perché “vanta esperienza in un settore, come la telefonia fissa,
dove a competere sono stati incumbent e imprese più piccole e in
cui si doveva decidere sulla questione delle regole e delle tariffe
di accesso all’infrastruttura – spiega Gentiloni – Anche in
questo settore si dovrà definire una sorta di ‘unbundling
postale’ che non penalizzi né Poste Italiane né i concorrenti.
Dubito che lo possa fare un braccio del ministero”.
La replica di Romani è chiara e riguarda la natura stessa delle
liberalizzazioni, che contrariamente alle Tlc, è senza
privatizzazione. In altre parole restando pubblico l’incumbent
meriterebbe un trattamento particolare. “Credo che, aprendo con
equilibrio alla concorrenza, sia stato giusto avere un occhio di
riguardo per Poste – spiega Romani – Sono stato contrario ad
affidare le competenze all’Agcom perché a volte le Authority
tendono a fare politica industriale anziché fare i
regolatori”.
Contro la decisione di Romani, scende in campo anche l’Antitrust.
“Senza un Regolatore indipendente la liberalizzazione dei servizi
postali rischia di partire con il freno tirato- fa sapere l’Agcm
– Il nodo dell’indipendenza e dell’imparzialità è cruciale
perché il nuovo regolatore dovrà adottare i provvedimenti
necessari a promuovere la concorrenza nei mercati postali.
L’attribuzione delle funzioni regolatorie all’Agenzia anziché
ad un’Autorità Indipendente non è conforme alle indicazioni
Ue”.