PA DIGITALE. Parlamento, la montagna incartata

Camera e Senato fermi al bivio: la digitalizzazione non manda in pensione il cartaceo. E anzi lievitano i costi del personale. Ma l’abolizione della carta farebbe risparmiare 15 milioni all’anno

Pubblicato il 24 Gen 2011

Segretari parlamentari sommersi dai documenti, montagne di carta
che si accumulano, personale altamente qualificato che impiega gran
parte del proprio tempo lavorativo a ribattere al computer
documenti che avrebbero potuto essere trasmessi via e-mail. Sembra
uno scenario dickensiano, ma è la situazione attuale alla Camera e
al Senato, dove la digitalizzazione non ha sostituito il cartaceo,
ma è semplicemente andata ad aggiungersi ai mezzi
“tradizionali”. E intanto la firma digitale e la posta
elettronica certificata, che avrebbero potuto essere gli elementi
chiave per far viaggiare pagine virtuali invece che su carta,
stenta a decollare, e ogni documento – dalle proposte di legge alle
interrogazioni agli emendamenti – deve essere presentato in una
cartellina con la firma autografa dei deputati o senatori.

Eppure il sistema informatico dei due rami del Parlamento soddisfa
a pieno le aspettative degli utenti, con i documenti pubblicati
quasi in tempo reale, una buona consultabilità e un archivio
esauriente. A evidenziarlo è una ricerca di Diego Menegon, fellow
dell’Istituto Bruno Leoni, che ha dedicato un focus a questo
argomento.

Se si arrivasse a sostituire i documenti cartacei con quelli
digitali anche in Parlamento – evidenzia il suo studio – in un anno
si risparmierebbero 15 milioni di euro. E a chi sembrano pochi
basterebbe far presente che si risparmierebbe la stessa cifra
“tagliando” lo stipendio di un parlamentare di 16mila euro
l’anno.

Un aspetto interessante dello studio di Menegon, prima di
addentrarci nelle cifre, è il fatto che evidenzi come il Codice
dell’amministrazione digitale promuova l’e-government e
l’utilizzo di firma digitale e posta elettronica certificata, e
disponga che le PA centrali li utilizzino per lo scambio di
documenti e informazioni, spingendo per ridurre il consumo di carta
con norme ad hoc (dall’abbonamento telematico alla gazzetta
ufficiale alle norme “taglia-carta”): principi applicabili alla
PA, ma che non riguardano il Parlamento, che è organo
costituzionale e ha uno speciale grado di autonomia.

Per il 2010 la Camera dei Deputati ha previsto costi di stampa pari
a 7,15 milioni di euro, e il Senato 7,4. Ma prima che i documenti
vengano stampati, c’è bisogno di qualcuno che li scriva. Poi
devono essere presentati in cartaceo agli uffici competenti, che
devono ribatterli per metterli online. Procedura bizantina che
firma digitale e Pec consentirebbero di semplificare enormemente,
migliorando tutto il sistema per trasparenza, per utilizzazione
ottimale del tempo e delle risorse a disposizione, per
economicità, e anche per il rispetto dell’ambiente (solo per la
manovra finanziaria – recita il focus – sono stati presentati 3mila
emendamenti, pari a 675mila fogli: 195 chilometri di carta).
“In ogni azienda – afferma lo studioso t- a fronte degli
investimenti per l’informatizzazione del lavoro si pretende una
riduzione delle spese tradizionali di cancelleria e di stampa,
oltre che una diminuzione del numero ore-uomo impegnate nella
gestione documentale e nei servizi di comunicazione interna ed
esterna. Una spesa così alta per i soli servizi di stampa sarebbe
difficilmente giustificabile in un’azienda dotata di adeguati
strumenti Ict e capace di servire online pressoché tutta la
documentazione prodotta”.

A questo si aggiunge il capitolo che riguarda il personale e il suo
utilizzo. Fermandoci all’inizio di agosto, tra Camera e Senato
sono stati depositati in tutto, tra mozioni, interpellanze,
interrogazioni, risposte del Governo ordini del giorno e altro
31.874 documenti. Risme e risme di carta che – per essere
trascritte da un funzionario abbastanza veloce – richiedono 2.656
ore. Quanto ai disegni di legge, se si considerano quelli
depositati fino a fine luglio, si può approssimare una stima di
41mila pagine, pari circa a 3.500 ore-uomo, pari a 21 mesi di
lavoro. Soltanto gli emendamenti della finanziaria, per la
trascrizione, richiedono 11.640 ore-uomo. E se i numeri sono di per
sé eloquenti, ad aggravare la situazione c’è il fatto che a
ribattere i documenti sono chiamati funzionari altamente
qualificati, scelti attraverso procedure molto selettive, che
dovrebbero occuparsi della congruità dei testi, della loro
chiarezza e della logicità della normativa. Impiegarli per
ribattere testi è anche questa – secondo lo studio di Menegon –
una fonte di spreco, “se non altro per il contributo che
altrimenti potrebbero dare impiegando il loro tempo a migliorare la
qualità della produzione legislativa”.

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