Gli ambientalisti cinesi puntano il dito contro Apple e quella che
definiscono la sua scarsa attenzione alla salute dei lavoratori e
alla difesa dell’ambiente: lo studio “The other side of
Apple” pubblicato dall’Institute of environmental and public
affairs (Ipe), che ha raccolto informazioni sui processi produttivi
e le condizioni di vita nelle fabbriche cinesi subappaltatrici di
29 grandi produttori hi-tech, posiziona implacabilmente la casa
della Mela all’ultimo posto.
Due gli episodi in particolare che macchiano il dossier Apple: il
report sostiene che la società californiana ha ignorato i problemi
alla Lianjian Technologies, sussidiaria della Wintek, divenuta
tristemente nota nel 2009 perché 49 suoi lavoratori sono rimasti
vittima di avvelenamento da n-esano. Apple, secondo gli
ambientalisti cinesi, ha sempre rifiutato di chiarire se Wintek sia
davvero un suo fornitore (di schermi touch per iPhone e iPad),
anche se, in seguito a scioperi e cause legali degli operai, la
società appaltatrice abolito l’utilizzo del detergente tossico
e, garantisce, notevolmente migliorato le condizioni di lavoro dei
suoi operai.
Allo stesso modo, Apple non si sarebbe assunta le sue
responsabilità per l’ondata di suicidi verificatasi l’anno
scorso presso la Foxconn (impresa taiwanese che produce in Cina
componenti per i computer Mac, per iPhone e iPad). Tra i suicidi,
anche un operaio che si sarebbe tolto la vita dopo essere stato
vessato dalla compagnia per aver perso un prototipo dell’iPhone
4. Apple, che aveva già aumentato le sue ispezioni presso i
fornitori cinesi dopo aver saputo delle precarie condizioni di
lavoro alla Foxconn, dopo i suicidi aveva fatto sapere di aver
contattato il management del fornitore per ottenere chiarimenti;
tuttavia, l’azienda californiana non avrebbe trattato la
questione con la dovuta serietà, accusa l’Ipe, citando
un’e-mail del Ceo Jobs in cui si affermerebbe: "Anche se un
suicidio è sempre una tragedia, il tasso di operai che si toglie
la vita alla Foxconn è molto al di sotto della media
cinese”.
È proprio la reticenza di Apple a deludere l’Ipe, come
sottolinea il direttore Ma Jun: “Apple si è comportata in modo
diverso dagli altri grandi brand ed è apparsa lenta a rivedere le
proprie pratiche. Pensavamo che avrebbe assunto un ruolo di leader,
invece sembra fare ostruzione”.
La casa della Mela non è l’unica azienda finita sulla graticola:
il report dell’Ipe, realizzato con il contributo di 36 Ong
cinesi, punta il dito anche contro SingTel, Lg, Ericsson e Nokia,
sostenendo che sono restie a fornire risposte agli ambientalisti e
lente a correggere le cattive pratiche; al contrario, le più
trasparenti e pronte ad aggiustare il tiro risultano Vodafone,
Samsung, Toshiba, Sharp, Hitachi, Hp, Altatel-Lucent e Bt.
Apple non ha commentato ufficialmente lo studio dell’Ipe, ma una
portavoce ha assicurato che la casa di Cupertino “è impegnata ad
assicurare che lungo la sua intera supply chain siano rispettati
gli standard più alti della social responsibility” e ha
ricordato che Apple ha un rigoroso programma di auditing che indaga
sulle pratiche dei suoi fornitori. L’azienda ha infatti
pubblicato l’anno scorso un’analisi della “Supplier
responsibility” (che si riferisce al 2009), secondo cui il 61%
dei 102 stabilimenti sottoposti a audit rispettano le regole di
Apple sulla sicurezza dei lavoratori e l’83% aderisce alle norme
sulla prevenzione dell’esposizione a sostanze tossiche. Ciò non
toglie che gli altri stabilimenti non abbiano passato l’esame e
la stessa Apple riconosce che esistono problemi come utilizzo di
lavoratori minorenni, smaltimento improprio dei rifiuti pericolosi
e falsificazione dei registri.
L’attenzione degli ambientalisti verso Apple è un segnale della
crescente coscienza verde della Cina e del tentativo da parte delle
Ong del Paese – pur con un raggio d’azione limitato dal vigile
controllo di Pechino – di attirare l’attenzione verso
importanti temi sociali. Ma le critiche ad Apple arrivano anche in
un momento specifico: la società di Jobs spinge con decisione per
penetrare sul mercato cinese, dove ha cominciato ad aprire negozi
che vendono i suoi gadget. Le revenues Apple generate in Cina, Hong
Kong e Taiwan sono salite a 2,6 miliardi di dollari quest’anno,
circa il 10% del totale, quattro volte di più rispetto a un anno
fa.