È un'Italia “moderatamente” innovatrice quella che emerge
dalla prima edizione dello
Ius (Innovation Union Scoreboard) elaborato dalla Commissione
europea e che dà la pagella alle economie degli Stati membri,
analizzandone le performance dal 2007 al 2009.
Nel capitolo dedicato al nostro Paese, Bruxelles sottolinea come,
nonostante abbia fatto dei passi avanti, l’Italia sia indietro
rispetto alle media Ue in quasi tutti gli indicatori, tra cui
competitività e ricerca e sviluppo, venture capital e spesa
pubblica in ricerca e sviluppo. In chiaroscuro il versante dei
brevetti dove, se è vero che possiamo vantare un’eccellente
“comunità di creativi", siamo indietro rispetto alla loro
attuazione, con pesanti ripercussioni sull'export ad alto
valore aggiunto e sui profitti verso i mercati emergenti.
Meglio per quel che riguarda i brand che si sono rafforzati del
13,5% (anche se restano ancora sotto la media Ue) anno su anno. A
commentare il quadro è Antonio Tajani, commissario
all’Industria: “La politica industriale è determinante ma
dobbiamo anche considerare che anche le idee sono innovazione. E
noi siamo i primi nel mondo nella moda, nel design. E anche nella
scelta di puntare sulle reti d'impresa – ricorda – In questo
senso serve una svolta radicale che punti allo sviluppo di un forte
sistema di distretti che impedisca la fuga di cervelli
oltre-confine e, allo stesso tempo, ne attragga
dall’estero”.
Ecco nel dettaglio la pagella data da Bruxelles:
Leader dell'innovazione: Danimarca, Finlandia,
Germania e Svezia presentano risultati molto al di sopra della
media dell'Ue-27.
Paesi che tengono il passo: Austria, Belgio,
Cipro, Estonia, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi,
Slovenia e Regno Unito presentano risultati che si avvicinano alla
media dell'Ue-27.
Innovatori moderati: i risultati di Croazia,
Repubblica ceca, Grecia, Ungheria, Italia, Malta, Polonia,
Portogallo, Slovacchia e Spagna sono inferiori alla media
dell'Ue-27.
Paesi in ritardo: i risultati di Bulgaria,
Lettonia, Lituania e Romania sono molto inferiori alla media
dell'Ue-27.
“Il ritardo sull’innovazione tecnologica che l’Italia sconta
rispetto ai principali paesi europei trova un’importante causa
nelle mancate liberalizzazioni e nella carenza di una politica per
stimolare la concorrenza e la competitività nel settore dei
servizi innovativi – spiega Ennio Lucarelli, vicepresidente vicario
di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici – ovvero dei
Knowledge Intensive Service, fattori sostanziali per incrementare i
processi d’innovazione e l’attrattività del Paese”.
Lo studio europeo, infatti, evidenzia che la maggior crescita
dell’innovazione, si registra in quei paesi che possono contare
su sistemi di ricerca aperti e collaborativi, che hanno saputo
valorizzare il loro patrimonio intellettuale sia nel sistema
educativo che nei processi di trasmissione del sapere, che nello
sviluppo dell'Ict e del trasferimento delle tecnologie,
risultando così forti esportatori di servizi ad alta intensità di
conoscenza.
“Al contrario nel nostro Paese – sottolinea Lucarelli – abbiamo
ancora un sistema della professioni intellettuali ancorato agli
assetti corporativi e autoreferenziali del sistema ordinistico,
mentre il mercato dei servizi innovativi subisce gravi distorsioni
e blocchi dalla presenza di società a capitale pubblico che
lavorano per le pubbliche amministrazioni al di fuori della
concorrenza e del confronto competitivo, ricorrendo in modo
massiccio all’in house, anche fino al 60% com’è il caso di
attività altamente innovative quali l’informatica”.
Secondo il vicepresidente di Csit il risultato di questa
arretratezza trova una conferma negli indicatori relativi alla
capacità delle Pmi di innovare sia collaborando con altri soggetti
che ricorrendo a risorse interne. Capacità che appare elevata su
entrambi i fronti per quasi tutti i paesi europei avanti nella
classifica. Il comportamento delle Pmi italiane, invece, denuncia
l’anomalia nei confronto con l'Europa, evidenziando la netta
difficoltà da parte di queste imprese ad avvalersi della
collaborazione di Università, agenzie, imprese di servizi
innovativi, mentre si dimostrano capaci quanto quelle degli altri
paesi nel fare innovazione entro i perimetri aziendali.
“Questi risultati – conclude Lucarelli – indicano come le reti
di imprese, la digitalizzazione dei distretti, la promozione delle
partnership fra industria e servizi innovativi, su cui è
fortemente impegnato il sistema confindustriale, costituiscono
un’innovazione cruciale per superare le criticità indicate
dall’Ue. Ma è indispensabile sostenere questo percorso con una
politica di modernizzazione e liberalizzazione dei servizi
innovativi, che auspichiamo trovi al più presto le condizioni per
essere attuata”.