Industria 4.0, tra uomini e robot è tempo di collaborazione

Parla Maurizio Cremonini, head of marketing di Comau: “Progettiamo e sperimentiamo macchinari smart per l’industria pesante, che siano in grado di riconoscere e interagire con gli umani azzerando i rischi di incidenti”

Pubblicato il 02 Dic 2016

Antonello Salerno

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Nelle catene di montaggio degli stabilimenti automobilistici a sconsigliare la collaborazione tra uomo e robot sono soprattutto i rischi di incidenti: le macchine spostano oggetti anche molto pesanti e possono muoversi ad alte velocità, e questo potrebbe comportare pericoli per le persone che si trovino a operare nei paraggi. Per azzerare questi rischi Comau, multinazionale del Gruppo Fca con sede a Torino, 12mila e 600 dipendenti, 33 sedi e 15 impianti produttivi nel mondo, specializzata in produzione e fornitura di sistemi avanzati di automazione industriale, ha dato vita ad Aura, Advanced Use robotic Arm, il robot collaborativo dotato di sensori che “riconosce” la presenza umana e riesce così a muoversi in armonia con l’ambiente che lo circonda, nonostante le grandi dimensioni. A spiegare a CorCom il senso di questa soluzione è Maurizio Cremonini, Head of marketing di Comau.

Cremonini, come nasce Aura e quelli sono le caratteristiche del Robot collaborativo?

I robot industriali hanno un’oggettiva pericolosità. Per questo molti impianti sono provvisti di tasti, fotocellule, barriere, per evitare che gli operai possano subire incidenti. In alcune operazioni del processo produttivo l’utilizzo dei robot non poteva finora essere previsto perché avrebbe potuto essere pericoloso per gli uomini che lavoravano nello stesso ambiente. Ma la collaborazione tra uomo e robot, in totale sicurezza, può essere un grande vantaggio per il processo produttivo e per la qualità del lavoro degli operai: da qui nasce il progetto che ha portato alla realizzazione di Aura. Si applica principalmente in settori, come quello dell’automotive, dove la produzione del risultato finito è frutto di processi dove vengono spostati pesi consistenti, o compiute operazioni difficoltose, e dove quindi c’è bisogno di robot grandi.

Dove viene utilizzato, e che manifestazioni di interesse avete ricevuto per questa soluzione?

Le manifestazioni di interesse sono altissime, questo anche per rispondere a un aspetto sociologico, il fatto cioè che nessuno ha interesse a far sparire dalle fabbrica le perone, mentre far coesistere la macchina e l’uomo è un’ambizione di molti. Abbiamo dato vita a una serie di sperimentazioni, molte delle quali nel settore automotive, anche in Fca. Le case automobilistiche infatti sono tradizionalmente molto sensibili a questo genere di innovazioni, come a tutto ciò che è in grado di migliorare e razionalizzare i processi produttivi.

Il passaggio a industria 4.0 sarà utile anche per spingere questo genere di tecnologie?

Di certo l’adozione progressiva delle tecnologie 4.0 porterà per le aziende a una base di informazioni da analizzare e decifrare, utili per capire dove e come si può fare efficienza, a partire dallo svecchiamento degli impianti. Ma sarà ancora più fondamentale l’efficientamento del processo produttivo, soprattutto in una realtà come quella italiana in cui il tessuto industriale è fatto di tante piccole realtà “polverizzate”, e la propensione all’investimento è generalmente improntata alla cautela.

Il piano Industria 4.0 potrà essere utile pure per un’azienda come la vostra, per potenziare gli investimenti?

Il robot Aura

Sarà di sicuro una grande opportunità per rivedere le nostre attività e adeguare ai nuovi standard anche le nostre macchine. Factory 4.0, al di là del concetto di rivoluzione, è un allineamento del mondo industriale a ciò che succede già fuori dai suoi confini. Fuori dalla fabbrica siamo già connessi 24 ore su 24: la fabbrica per anni è rimasta indietro, perché si adeguata nel tempo a standard informatici che spesso oggi appaiono datati. Il tema oggi è portare le fabbriche al livello del resto del mondo interconnesso, esigenza che per le imprese ha il suo prezzo, ma non c’è migliore occasione di questa per arrivare alla percezione delle nuove opportunità.

Comau ha una sua academy: quanto conta nel vostro campo il poter lavorare fianco a fianco con le università e i centri di ricerca?

Investiamo molto su questo progetto, il nostro è un modo di know how e c’è bisogno di trasferire le conoscenze di persona in persona e di generazione in generazione. Poi ci siamo resi conto anche che un immediato beneficio sarebbe venuto anche dal fornire ai nostri clienti la possibilità di capire e studiare da vicino alcuni elementi dell’automazione di fabbrica, con training specifici, non solo tecnici, ma anche di gestione di progetti.

Abbiamo master di secondo livello finalizzati ad assumere ingegneri, destinati a diventare manager junior nel nostro organico, e grazie alla collaborazione con la Regione Piemonte e il Politecnico di Torino abbiamo poi replicato questo genere di esperienze a vari livelli. Infine abbiamo prestato attenzione anche alle scuole superiori, per dare risposta alla legge sull’alternanza scuola-lavoro prevista dalla Buona scuola, dando vita a un progetto che assegna ai ragazzi un “patentino della robotica”, a conclusione di un corso. Le scuole in Piemonte hanno aderito con entusiasmo. Devo dire che grazie a questi progetti, e anche grazie alle summer school, siamo venuti in contatto, e abbiamo anche assunto, giovani talenti dalle grandi potenzialità

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