«L’Europa è tra gli attori principali nel dibattito sul 5G, e l’Italia intende svolgere un ruolo significativo, avendo annunciato che le prime sperimentazioni partiranno in tre città nel 2017». A spiegare a CorCom lo stato dell’arte sulla rete mobile di nuova generazione è Giovanni Emanuele Corazza, che per l’Università di Bologna è stato il primo italiano nel board della 5G Infrastructure Association, la parte privata della 5G-PPP, che riunisce i principali player coinvolti nello sviluppo della rete di nuova generazione.
Corazza, è stato pubblicato a luglio il “5G Manifesto for timely deployment of 5G in Europe”. Quali sono gli obiettivi?
Firmato dai più importanti stakeholder europei, prevalentemente operatori di telefonia e manifatturieri, tra i quali Nokia ed Ericsson, è un documento politico, stimolato dal commissario Oettinger, con l’obiettivo di stabilire una policy nell’ottica della digitalizzazione dell’economia europea e del digital single market. Si riconosce il 5G come abilitatore fondamentale di questi sviluppi, e si stabilisce che devono esser fatti investimenti sia da parte pubblica sia da parte privata.
Il Manifesto individua anche un piano d’azione. Quali le linee principali?
Io vedo quattro aree di azione fondamentali. La prima riguarda lo spettro, con l’identificazione entro la fine del 2016 delle pioneer band, le bande su cui verranno condotte le sperimentazioni, ed entro il 2017 delle bande armonizzate. La seconda sono i trial sul campo: ogni Paese Ue identificherà almeno una città per i test 5G, formando un network europeo di 28 aree urbane. La terza azione è il roll-out del sistema, con la copertura entro il 2025 di tutte le aree urbane e di tutte le infrastrutture di trasporto più importanti in Europa. Naturalmente il 4G Lte e l’Lte Advanced rimarranno in funzione: il 5G non andrà a intaccare gli investimenti sul 4G, ma li potenzierà. La quarta prevede che le amministrazioni pubbliche partecipino allo sviluppo della tecnologia da “early adopter”, con investimenti pubblici non più soltanto su ricerca e sviluppo.
A Roma si è tenuto a novembre 2016 il “Global 5G Event”: quali indicazioni sono emerse?
L’evento è il risultato di un accodo multilaterale tra Europa, Cina, Giappone, Corea e Stati Uniti. C’è un’eccitazione palpabile, il 5G è un argomento di politica economica che va oltre la tecnologia. Lo standard sarà ufficializzato nel 2020, ma si spinge già per le prime dimostrazioni: in Usa con Verizon, e in Giappone e Corea del Sud, che vorrebbero sfruttare i giochi olimpici come piattaforma promozionale. In Europa gli operatori appaiono meno aggressivi, ma sono pronti nella sostanza. Dal summit è inoltre emerso che trovare uno spettro armonizzato a livello globale sarà difficile: i terminali dovranno essere sempre più flessibili.
Quali problemi potranno sorgere sul piano della net neutrality?
Con il 5G la rete diventa una vera e propria software defined network, che renderà possibili configurazioni specifiche dette slice, che possono essere ritagliate su operatori diversi per la multi-tenancy, su servizi diversi come ad esempio per l’IoT per i mercati verticali, o anche geograficamente, ad esempio con una slice su uno stadio per coprire un evento sportivo. Di certo c’è un impatto interessante sul principio che la rete debba essere neutrale rispetto ai contenuti che trasporta: lo slicing permette da una parte di avere fairness verso gli utenti finali su servizi di accesso a Internet, e dall’altra di dare la dovuta priorità ai servizi ad altissima affidabilità, cosiddetti mission-critical.
Qual è l’importanza della definizione degli standard per il 5G?
In seno al 3GPP, sede in cui viene sviluppato lo standard, c’è un livello di attività senza precedenti. In un anno l’interfaccia radio è già definita al 75%. Due le fasi individuate: la prima finisce a metà 2018, per la enhanced mobile broadband, con obiettivi di prestazioni di picco per il mobile paragonabili a quelle della fibra, fino a 10 Gbit/s, e la rete 5G non-standalone, che funziona solo in presenza di una rete 4G. La fase due, che si concluderà a marzo 2020, aggiunge l’internet of things, i servizi mission-critical, ma soprattutto la definizione della architettura 5G standalone.
Lo spettro: cosa si sta muovendo al di là dei 700 MHz?
Il gruppo di lavoro ad hoc della 5G IA ha emesso un documento che è stato adottato integralmente dall’RSPG, il Radio Spectrum Policy Group della Commissione Europea. Si identificano tre bande, i 700 MHz, la fascia 3,4-3,8 GHz, che in Europa è praticamente armonizzata, e poi nel millimetrico i 27 e i 32 GHz. Per queste ultime, in attesa che la World Radio Conference del 2019 prenda decisioni, si tratta di sperimentazione.
Quali sono i principali vantaggi che porterà il 5G?
Nel caso dell’enhanced mobile broadband c’è un miglioramento delle prestazioni di picco e della densità di traffico, con una sensibile riduzione della latenza. Con il network slicing e la virtualizzazione degli elementi di rete si otterranno gradi di flessibilità senza precedenti. E si sfrutteranno nuove porzioni di spettro. Nell’IoT c’è l’esigenza di andare oltre le soluzioni proprietarie: quando arriveremo a trillions di oggetti connessi, servirà una densificazione della rete che oggi non è disponibile, e il 5G sarà abilitante per l’IoT matura. Infine i servizi di tipo mission-critical: sull’automotive l’attenzione è già altissima, con manifatturieri automobilistici intenzionati a entrare nel mercato Tlc.
E la cybersecurity?
E’ una priorità, e deve essere considerata fin dall’inizio, anche se troppo spesso il design parte dalle prestazioni e la security arriva soltanto alla fine. Il 5G diventerà una infrastruttura critica, tutti i settori verticali dipenderanno dalla connettività, tutti i settori chiave dell’economia si appoggeranno sulla rete. Non sarà ammissibile il downtime e gli attacchi dovranno essere prevenuti e risolti in tempo reale.