La salita di Vivendi al 20% di Mediaset è la prosecuzione di una guerra iniziata con il caldo estivo. E potrebbe essere anche il preludio di un’alleanza forzata fra Berlusconi e Bolloré, frutto della strategia da squalo messa in campo dal patron di Vivendi per far uscire allo scoperto l’ex premier dopo i vani tentativi di intesa. Guardando ai frenetici giorni della settimana in corso emerge un quadro tutt’altro che limpido, sporcato dai movimenti continui delle pedine sullo scacchiere finanziario italo-francese, dalle posizioni politiche contrastanti e da player terzi spettatori interessati o possibili attori entranti. Battaglie legali vecchie e nuove, scambi azionari agitati a Piazza Affari, intrecci politico-economici e potenti famiglie coinvolte: il caos calmo delle scorse settimane nelle querelle Mediaset-Vivendi è insomma un lontanissimo ricordo.
Vivendi: “Interesse strategico, non ostilità” – Il fulmineo aumento della partecipazione di Vivendi in Mediaset, passata dal 3,01% di lunedì sera al 20% di ieri annunciato a Borsa chiusa dopo l’inframezzo al 12,3% di martedì. Una tre giorni di sprint a tinte francesi che ha scatenato la fantasia degli investitori, con un titolo in fibrillazione capace di guadagnare il 31,86% l’altro ieri portando il titolo ai massimi storici nella sua vita a Piazza Affari, e la contromossa di Fininvest andata a caccia di azioni Mediaset. “Certamente non è stato sollecitato, ma non è un atto ostile”, si difende Vivendi interpellata dall’Ansa spiegando di aver “deciso di acquisire le quote di Mediaset” per “estendere e rafforzare la nostra posizione in Europa del sud che è strategica”.
Mediaset non si fida, si muove la Procura – Una motivazione che non ha convinto la controllate del Gruppo di Cologno Monzese, Fininvest, che ha denunciato la media company per manipolazione del mercato spingendo la Procura di Milano ad aprire un’inchiesta seppur ancora a carico di ignoti.
La famiglia Berlusconi e i vertici di Mediaset non si fidano di quel Bolloré che, dopo l’accordo sul nuovo polo televisivo europeo siglato ad aprile, è tornato sui propri passi accusando di mancanza di fattibilità gli obiettivi industriali fissati dai piani Premium. La pay-tv, che è stato a luglio il grande pomo della discordia, rappresenta ora una partita collaterale, se non marginale, dello scontro lungo l’asse Milano-Parigi.
E se la salita di Bolloré fosse solo iniziata? – Gli occhi sono ora tutti puntati sulla corsa alle azioni di Mediaset. Vivendi è stata di parola: lunedì aveva detto di voler arrivare al 20% e l’ha fatto. Ma la storia della vita finanziaria del finanziere bretone patron del Gruppo induce a pensare che la parole fine alla partita sia però un miraggio. “No comment” è la risposta data dalla compagnia transalpina all’Ansa alle domande su un aumento ulteriore di quota. Assenza di conferma, ma assenza di smentita. Insomma, gioco delle parti che specialmente a mercati aperti non stupisce più di tanto.
Il passato dice niente Opa, Telecom si chiama fuori – Il passato vuole un Bolloré quasi mai orientato a far scattare l’Opa obbligatoria, che nel caso di Mediaset scatterebbe qualora Vivendi rastrellasse azioni fino a salire al 30% (la soglia è invece al 25% in assenza di altro socio che detenga una partecipazione più elevata, come ad esempio nel caso di Vivendi in Telecom, ndr). Secondo diversi analisti, da quelli di Banca Imi a quelli di Banka Akros, gli acquisti azionari sono destinati alla frenata e il duo Bolloré-Berlusconi convergerà probabilmente verso l’apertura di un tavolo di trattiva, anziché verso uno scontro finanziario.
Alcune indiscrezioni volevano un ingresso in campo di Telecom, possibile preda di contromosse azionarie da parte di Mediaset. “Non abbiamo nulla a che vedere con l’operazione Mediaset-Vivendi in nessuna forma, né diretta né indiretta, né attiva né passiva – ha però dichiarato il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, chiamando fuori la telco – “Siamo totalmente estranei a questa vicenda”.
I paletti normativi alla scalata Bolloré – Anche l’Autorità garante per le comunicazioni è intervenuta sulla frenesia di questi giorni, ricordando che il Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici stabilisce un divieto al superamento dei tetti di controllo.
“Le imprese di comunicazioni elettroniche che detengono nel mercato italiano una quota superiore al 40%, non possono acquisire ricavi superiori al 10% del Sistema Integrato delle Comunicazioni (Sic) – spiega l’authority -. I tetti anticoncentrazione nei mercati delle comunicazioni e dei media rispondono a esigenze di interesse generale (pluralismo, servizi di pubblica utilità, concorrenza) e a diritti essenziali dei cittadini (informazione, comunicazione, accesso ad Internet) e sono parte della normativa nazionale dei singoli Stati all’interno dell’Unione Europea”.
Citando i dati 2015, l’Autorità spiega che Telecom Italia, il cui azionista di maggioranza è il gruppo Vivendi con una quota del capitale sociale del 24,68% “risulta il principale operatore nel mercato delle comunicazioni elettroniche, detenendo il 44,7% della quota nel mercato prevalente delle telecomunicazioni”. Mentre Mediaset raggiunge nel 2015 una quota del 13,3% del Sic, che comprende Tv, radio ed editoria. Questi dati “evidenziano che operazioni volte a concentrare il controllo delle due società potrebbero essere vietate”. L’Agcom ha fatto sapere che vigilerà sull’operazione in atto e sul rispetto della normativa vigente.
In campo Governo e Pd, il M5S contro Gentiloni – Ma la grandezza delle società coinvolte e la pesantezza del cognome Berlusconi ha scomodato anche la politica. Il Governo, tramite il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, si è schierato in difesa della società italiana. O comunque, volendo leggere in modo meno netto, non ha risparmiato una critica al modus operandi di Bolloré: “Non sembra davvero che quello che potrebbe apparire come un tentativo, del tutto inaspettato, di scalata ostile a uno dei più grandi gruppi media italiani, sia il modo più appropriato di procedere per rafforzare la propria presenza in Italia”.
Ieri sera è arrivata anche la copertura politica del vicesegretario del Partito democratico, Lorenzo Guerini: “Mediaset è una grande azienda, dovremo studiare come governo azioni che possano mettere in sicurezza un patrimonio italiano. Di fronte a una scalata ostile, serve grande responsabilità e rispetto delle regole del mercato”. Parole, quelle di Guerini e Calenda, che non sono andate giù al Movimento 5 Stelle: “Le parole del ministro Calenda e del vicesegretario Pd Guerini – sottolinea Mirella Liuzzi – sottolineano come l’esecutivo ‘Renziloni’ abbia a cura gli interessi del proprio sodale Silvio Berlusconi, visto che i vertici di Mediaset si sono schierati pubblicamente per il sì al referendum costituzionale”.
Belusconi al contrattacco. Al suo fianco Salvini – Numerose le voci che sono levate dal centro-destra, in primis quelle giunte da Arcore per voce di Silvio Berlusconi in persona: “Abbiamo aumentato la nostra partecipazione e continueremo a farlo nei limiti consentiti dalle leggi. Non è certo questo il miglior biglietto da visita che Vivendi possa esibire nel riproporsi come azionista industriale della società”.
All’attacco della tattica predatoria di Bolloré è andato anche Matteo Salvini, leader della Lega Nord: “In queste ore i francesi stanno cercando di fare shopping tra le aziende di Berlusconi. Mediaset è una delle principali aziende del Paese, ci sono migliaia e migliaia di posti di lavoro, il fatto che dalla sera alla mattina un finanziere francese riesca a scalare il 20% di una delle principali aziende italiane senza che il Governo abbia mosso un dito, senza che gli organi di vigilanza abbiano mosso un dito, è emblematico”.