Lombardia Informatica si riorganizza per valorizzare il suo ruolo di “collante” tra Regioni, mercato e utenti. In un momento in cui si fa un gran parlare del ruolo che le società in house possono svolgere nel processo di trasformazione digitale e di come efficientare le loro attività, l’azienda di Regione Lombardia getta il cuore oltre l’ostacolo e battezza un modello di gestione e organizzazione che punta tutto su specializzazione IT, trasparenza e controllo. A raccontare a CorCom quello che sta succedendo, il direttore di Lombardia Informatica Roberto Soj.
Direttore, cosa si sta muovendo dentro Lombardia Informatica?
Stiamo lavorando – si tratta di un processo di rolling, il gerundio è d’obbligo – ad un nuovo modello organizzativo che consente di misurare e rendicontare le attività della società in termini di obiettivi/costi, ma anche di servizi resi al territorio. Si tratta di distinguere le azioni di natura propriamente pubblicistica, ovvero tipiche della PA – aggregazione della domanda, programmazione dei fabbisogni, indizione dalle gare e controllo dell’esecuzione – da quelle che invece sono confrontabili con il mercato. Come società, non dimentichiamo che l’affidamento in house non è automatico: si affida un servizio o un progetto alla società partecipata laddove questa garantisca gli stessi costi del mercato o restituisca un valore aggiunto maggiore, praticamente il concetto dell’economicamente più vantaggioso. Proprio per efficientare queste diverse attività abbiamo pensato un nuovo modello.
Quali sono le novità organizzative e gestionali?
Prima di tutto abbiamo separato le aree e le competenze, e di conseguenza i costi, che appartengono alla natura pubblicistica del nostro ruolo. Poi stiamo procedendo alla riorganizzazione delle aree di servizio secondo una logica per business unit specializzate. Al momento ne sono state individuate otto: sei “verticali” e 2 “orizzontali-trasversali”. In sostanza ci stiamo orientando verso un modello che valorizza la competenza e la specializzazione di materia o di processi ovvero quello che il piano Agid individua negli ecosistemi verticali.
Ci può elencare le business unit?
Le sei verticali sono: sistemi amministrativi-gestionali delle PA; sistemi di informativi per il welfare centrale; sistemi per il welfare territoriale; sistemi di gestione della relazione con cittadini e imprese (ad esempio l’erogazione fondi); sistemi per l’agricoltura e, infine, sistemi per i servizi al territorio (trasporti, emergenze…). Quelle orizzontali sono le piattaforme per loro natura trasversali ai processi e che sostengono il tutto: infrastrutture tecnologiche e piattaforme elaborative.
Cosa vi consente questa nuova organizzazione?
Di poter operare come una service company ed andare a rendicontare ogni attività di innovazione messe in campo dalla in house, scorporando i servizi confrontabili con il mercato da quelli legati alle attività pubblicistiche. In questo modo evitiamo di drogare i livelli di costo o di attribuire costi impropri ad attività che hanno nature diverse. Due le ricadute positive: la possibilità per gli azionisti di monitorare il nostro lavoro in trasparenza e, allo stesso tempo, contribuire e spingere il mercato alla creazione di filiere specializzate per rispondere alla nostra domanda di acquisizione di beni e servizi informatici.
In che modo spingete la creazione di filiere?
Partendo dal presupposto che riversiamo il 70% delle nostre attività su mercato – si tratta di oltre 150 milioni euro all’anno – il nuovo modello ci consente di farlo in maniera canalizzata rispettando la verticalità dei servizi. Questo consente, a sua volta, di creare dei distretti di competenze intorno alle quali i player privati possono elaborare soluzioni efficaci ai fabbisogni della PA, irrobustendo il mercato delle skill e facendo crescere il distretto delle imprese della Regione Lombardia.