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Riforma Madia, non è ancora rivoluzione: serve un colpo di reni

La maggior parte dei dipendenti della PA ritiene che le azioni siano troppo incentrate sulle norme e che manchino indirizzi programmatici efficaci. Nessun cambiamento all’orizzonte a breve termine. I risultati del panel contenuti nell’Annual Report di FPA

Pubblicato il 21 Dic 2016

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La PA, essenziale driver di innovazione del sistema Paese, soffre di disfunzioni croniche che nessuna riforma è riuscita ancora ad intaccare. La fotografia è scattata dall’Annual Report, realizzato da FPA, secondo cui anche l’impatto della riforma Madia in questo senso è ancora nullo, perché il turnover non è stato ancora in effetti sbloccato e perché i provvedimenti che riguardano dirigenza e lavoro pubblico sono ad oggi fermi o ritirati. A sostenere la tesi i numeri del panel i cui risultati sono stati pubblicati nella ricerca. Poche domande che aiutano a testare il polso sul clima, interno alle amministrazioni, in cui la riforma si cala.

Sono state intervistate circa 700 persone, il 78,6% delle quali dipendenti pubblici per chiedergli che ne pensano della riforma: Per 7 su 10 “Non si tratta di una riforma rivoluzionaria negli effetti” e che è troppo centrata sulle norme perché “tutto è affidato a leggi e provvedimenti, ma mancano indirizzi programmatici e atti di gestione”.

Tra le pecche della riforma rilevate dal panel anche quella di conferire troppo potere alla politica (67,3%) Tra i suoi meriti quello di rileggere l’efficienza del Paese come un dovere della PA. L’effetto sui “grandi mali” del paese sarà prevalentemente “nullo” per alcune questioni addirittura dannoso. Più del 30% risponde che si genererà un effetto “negativo” relativamente al “caos sulle competenze e le responsabilità”, lo “scollamento tra la politica e l’amministrazione”, i “divari territoriali”. Farà bene “all’incertezza di regole e tempi” (per il 35,1%) e permetterà di recuperare il gap di “fiducia tra cittadini, istituzioni e PA”. Come cambierà la vita dei cittadini? Cambierà in meglio secondo il 31,8% del panel, ma per la maggior parte (49,3%) non cambierà affatto. I dipendenti pubblici, invece, la vedono proprio nera: per il 40,2% le novità introdotte dalla riforma lo faranno lavorare peggio, per il 37,6% non cambierà nulla.

Questo in un momento storico in cui il tema delle riforme diventa invece più urgente che mai, anche a fronte degli indicatori “Better life” di Ocse, che relegano l’Italia nella parte più bassa della classifica per molte delle 11 dimensioni – occupazione, istruzione, ambiente, sicurezza, reddito per citarne alcune – che misurano la qualità della vita dei cittadini. L’obiettivo imprescindibile diventa dunque individuare in tempi rapidi quali siano i punti della riforma ancora percorribili, perché non sia ancora una volta tutto perduto. Il rischio da scongiurare è riassunto da Carlo Mochi Sismondi nell’efficace metafora del “frutto mancato”, avendo ancora una volta sopportato per ora soltanto la fatica dello sforzo riformatore senza raccoglierne i vantaggi.

E cosa succederebbe se la riforma della PA “funzionasse”? Si avrebbe un impatto sulla crescita della produttività e del Pil dello 0,6% tra 5 anni, pari a circa 9 miliardi di prodotto interno lordo in più.

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