Ernesto Apa: “Frequenze alle Tlc mobili: per le Tv sacrificio necessario”

Dal digitale terrestre alla banda larga mobile: l’Italia ha imboccato finalmente la strada dell’adesione alle regole internazionali. L’avvocato di Portolano Cavallo: “Ora possiamo e dobbiamo rispettare le scadenze”. Per i broadcaster non è lo scenario ideale “ma si inserisce in un quadro più vantaggioso per gli utenti e per la crescita economica”

Pubblicato il 03 Gen 2017

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Switch off della banda 700Mhz dalle Tv alle Tlc mobili: passaggio obbligato per supportare lo sviluppo tecnologico e sfruttare al massimo le potenzialità economiche dello spettro. L’Italia sembra finalmente avviata in un processo virtuoso: serve l’impegno per far andare al loro posto i tasselli di un puzzle spesso finora dominato da scelte inefficaci. Lo dice l’avvocato Ernesto Apa socio dello Studio Portolano Cavallo analizzando lo scenario in vista del 2022: data in cui dovrà essere messa la parola fine al processo di liberazione delle frequenze.

La Commissione Ue ha definitivamente decretato i tempi per la liberazione della banda 700Mhz da riservarsi alle Tlc mobili per lo sviluppo del 5G. L’Italia è riuscita a strappare due anni di margine, ma a determinate rigide condizioni.

Il 14 dicembre i negoziatori di Commissione, Parlamento europeo e Consiglio hanno raggiunto un’intesa politica, al termine di un lungo iter. In base a questo accordo, entro il 30 giugno 2020 tutti gli Stati membri dell’UE dovranno rendere disponibile la banda 700 MHz (694-790 MHz) per l’uso della banda larga senza fili. L’accordo prevede anche delle scadenze intermedie: entro la fine del 2017 gli Stati dovranno concludere accordi di coordinamento con i paesi radioelettricamente confinanti e dovranno mettere a punto il proprio piano di liberazione della banda 700 entro il 30 giugno 2018. Gli Stati che avranno difficoltà a rispettare il termine di giugno 2020 potranno ottenere una deroga, se adeguatamente giustificata: per tali Stati il termine potrà essere differito fino al 30 giugno 2022, data ultima entro cui la transizione dovrà essere ultimata e la banda 700 definitivamente liberata e assegnata agli operatori mobili.

Come valutate lo strettissimo timing già scattato per il nostro Paese?

Il timing è il medesimo per tutti i Paesi europei. Altri Stati, come Francia e Germania, hanno già pianificato il processo e stanno passando alla fase di implementazione, noi siamo in ritardo. Il termine al 2020, inizialmente proposto dalla Commissione senza prevedere deroghe, era eccessivamente ambizioso per l’Italia, attese le maggiori difficoltà che il nostro Paese incontrerà a liberare la banda 700, attualmente utilizzata per le trasmissioni televisive. La posizione comune raggiunta dal Consiglio (dove siedono gli Stati) e dal Parlamento europeo il 26 maggio 2016 ha ammesso un differimento al 2022, come richiesto dall’Italia, dando agli Stati la possibilità di utilizzare, in determinate circostanze, il “cuscinetto” di due anni che del resto era già contemplato nel rapporto Lamy. Possiamo e dobbiamo rispettare questa scadenza.

Quali ostacoli potrebbero esserci al pieno rispetto delle condizioni imposte dalla Ue? Che peso può avere la situazione politica?

L’Italia versa in una maggiore difficoltà, rispetto ad altri Stati, perché nel nostro paese è mancato lo sviluppo di un’offerta alternativa alla televisione via etere. L’“ipertrofia” della televisione terrestre è dovuta ad una pluralità di ragioni, alcune delle quali affondano le radici in scelte infelici fatte dal legislatore italiano negli anni ’70 (allorché fu stabilito che un singolo impianto via cavo non potesse essere utilizzato da più di un operatore e solo per aree molto piccole). Il digitale terrestre ha incontrato minor fortuna nei paesi che, come la Germania, hanno conosciuto una forte penetrazione del cavo e del satellite. In Italia, invece, il digitale terrestre è la piattaforma di gran lunga prevalente, con una penetrazione che si avvicina al 100% della popolazione, quindi qualsiasi cambiamento che interessi frequenze terrestri ha un enorme rilievo. Inoltre, l’Italia si è storicamente distinta per il larghissimo impiego dello spettro: ci siamo abituati a vivere al di sopra dei nostri mezzi, utilizzando più risorse frequenziali di quelle spettanti al nostro paese. A partire dal 2006 l’Italia ha avviato un processo, intensificato negli ultimi anni, per risolvere il problema delle interferenze con i paesi confinanti: il permanere di questa determinazione politica a giocare secondo le regole della comunità internazionale è importante per consentirci di restare al passo con gli altri paesi.

“Spostamento” dei broadcaster dalla 700Mhz alla sub700: un vantaggio o una penalizzazione? Perché?

Per i broadcaster lo spostamento non è lo scenario ideale, è evidente che viene chiesto loro un sacrificio. Però si tratta di un sacrificio necessario, che si inserisce in un quadro complessivo più vantaggioso per gli utenti e per la crescita economica. L’approccio dell’UE sembra contemperare in modo equilibrato le ragioni dei broadcaster e le esigenze dello sviluppo tecnologico, che sarebbe frenato in assenza di una riallocazione delle risorse frequenziali. Da un lato, si libereranno risorse per il 5G; dall’altro, si prevede una transizione in tempi celeri ma non impossibili, anche grazie al margine offerto dalla possibile proroga al 2022, e quale misura compensativa alla televisione viene data priorità a lungo termine (fino al 2030) nella banda al di sotto dei 700 MHz (470-694 MHz).

Qual è lo scenario che si profila ora per le Tv italiane?

I decisori politici dovranno operare delle scelte. Il professor Antonio Sassano, che è un’autorità indiscussa in materia di frequenze, ha proposto, anche dalle colonne di questa testata, alcune soluzioni che valorizzano la capacità di compressione delle codifiche Mpeg4 e Hevc anche con l’attuale standard Dvb-T e quindi senza necessità di procedere a un rinnovo del parco decoder sostenuto da sovvenzioni pubbliche, come si fece ai tempi dello switch off della televisione analogica. Inoltre, a mio avviso non potremo avere una gestione razionale dello spettro frequenziale se non rimuoveremo il vincolo normativo che impone di destinare all’emittenza locale almeno un terzo della capacità trasmissiva disponibile. Questa riserva in favore delle TV locali forse aveva un senso nel 2001, quando si doveva regolare la transizione dall’analogico al digitale terrestre, ma è ormai da molto tempo una zavorra che frena lo sviluppo del settore delle comunicazioni. Le emittenti locali meritano rispetto per l’importante ruolo che svolgono nel sistema italiano dell’informazione, ma questo ruolo, per essere preservato, deve essere calato in un contesto che è radicalmente cambiato negli ultimi 10 anni.

Lo spostamento nella banda sub700 potrebbe rappresentare una spinta per una maggiore digitalizzazione del sistema?

Se guardiamo al sistema delle comunicazioni in un’accezione ampia, la conversione delle frequenze in banda 700 a nuovi usi è necessaria per supportare lo sviluppo tecnologico e per sfruttare al massimo le potenzialità economiche dello spettro. La domanda di connettività mobile è in costante aumento: tutti utilizziamo ormai lo smartphone e nel volgere di pochi anni utilizzeremo dispositivi 5G. Secondo la Commissione europea, entro il 2020 il traffico internet mobile aumenterà di otto volte rispetto a quello attuale: tutto questo richiederà molta banda. Quanto ai servizi televisivi, la sovrabbondanza di risorse non incoraggia l’efficienza, mentre il nuovo assetto, riducendo le risorse a disposizione, imporrà un’accelerazione all’introduzione di standard di trasmissione che consentono di sfruttare in modo più efficiente le risorse frequenziali. La televisione ha un ruolo chiave nel veicolare informazione, cultura e intrattenimento, quindi dovremo trovare il modo di gestire i processi in atto in maniera tale da non danneggiare le imprese televisive e le fasce più deboli dell’utenza.

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