Immaginando di fare un salto in avanti di una decina d’anni, o
anche di più, cosa vorrà dire parlare di smart cities?
Probabilmente, si nomineranno molto poco edifici, strade, e tutta
una serie di ingredienti ricorrenti nelle ricette della
pianificazione tradizionale, mentre accessibilità e connettività,
ad esempio, saranno estremamente legate all’interno del discorso
urbanistico contemporaneo.
Ma in realtà, non sappiamo con certezza quello che accadrà.
Viviamo in un mondo in cui le mutazioni sono rapide, non lineari
(non legate da immediati rapporti di causa effetto) e assolutamente
poco prevedibili. Partendo da quello che possiamo analizzare e
scrutare ora, la città contemporanea può essere intesa e
descritta come un sistema composto da grandi quantità di flussi in
costante movimento. Flussi di tipo diverso: persone e mezzi di
trasporto, ma anche attività, beni, dati, reti, informazioni di
qualsiasi genere.
Per semplificare questa circolazione materiale e immateriale
potremmo descrivere la città contemporanea come una serie di
persone che utilizzano una serie di mezzi (media) per ottenere
soddisfazione a bisogni e desideri. In quest’ottica è chiaro
come l’autobus o la metropolitana siano un medium, ma lo sono
allo stesso modo anche una scuola, un parco, un cinema. È pertanto
utile iniziare a concepire il paesaggio della città come
mediascape, attivo, fatto di un incrocio di dinamiche a-spaziali
strettamente collocate sul territorio locale: lo spazio fisico sul
quale ci muoviamo ogni giorno. Date queste premesse, ragionare oggi
in termini di “pianificazione” appare un esercizio sempre più
complesso e per certi versi sterile. Cosa significa oggi
pianificare? Come è possibile prendere decisioni che verranno
attuate ad anni di distanza da noi, quando non riusciamo neanche a
prevedere cosa succederà dopodomani?
Probabilmente questo è il punto.
In un mondo altamente imprevedibile riteniamo sia poco produttivo
progettare rigidamente specifiche soluzioni per un futuro quanto
mai incerto.Il progettista oggi (che si tratti di città, servizi o
prodotti) dovrebbe facilitare l’avvento delle giuste condizioni
per un reale cambiamento, piuttosto che concentrarsi sulla
pianificazione del cambiamento stesso. Un progettista che in
realtà diventa un facilitatore, un progettista che parte
dall’osservazione attenta delle dinamiche che gli stanno
intorno.
A conferma ulteriore di quanto scritto, continuando a visualizzare
la città in termini di media-scape, l’esempio più semplice di
“imprevedibilità” è dato proprio dall’analisi dell’era
del digitale. Se quindici anni fa ci avessero chiesto quanti
servizi avrebbero necessitato di uno spazio fisico nel 2015,
probabilmente avremmo risposto “molto pochi”. Seguendo le
tendenze della digitalizzazione si è diffusa la convinzione che
ogni funzione si sarebbe potuta svolgere all’interno di un nucleo
iper-tecnologico.
Molti hanno infatti immaginato che la città molto presto potesse
non servire più: che in una qualsiasi campagna o deserto si
sarebbe presto potuto avere la stessa accessibilità ad
informazioni e servizi, la stessa qualità della vita che nel
centro di una metropoli.
A distanza di qualche decennio possiamo affermare invece che gran
parte delle preoccupazioni relative alla possibile natura degli
spazi urbani nell’epoca di Internet (dai luoghi di lavoro ai
luoghi di svago ) erano infondate. La città ha rafforzato la sua
centralità, incrementando le potenzialità economiche e sociali
che la contraddistinguono.
Nessuna forma di telelavoro, ma meccanismi sempre più complessi di
co-working. Niente esodi di massa in campagna, al contrario la
popolazione mondiale vive oggi prevalentemente in agglomerati
urbani. Colossi industriali che decidono di spostare attività ed
energie dalla fabbricazione di computer alla gestione di sistemi
integrati per trasformare le metropoli in entità intelligenti. Se
da una parte ancora si insegue l’ovunque, dall’altra si ritorna
alla terra, alla località, al momento, alla situazione. La sfida,
a nostro avviso, per qualsiasi pianificatore è quindi quella non
banale di cambiare il suo paradigma di riferimenti: dal ragionare
per vincoli al ragionare per opportunità; dall’immaginare
scenari definiti al costruire diagrammi di possibilità; dal
prendere decisioni a lungo termine al mettere in discussione
qualsiasi domani; dal delegare la responsabilità ad un incerto
futuro all’assumersi il rischio di organizzarne il corso.