Industria 4.0, la vera sfida si gioca sui competence center. Ecco perché Adapt e Fim hanno di recente pubblicato un Libro Verde –“Industria 4.0. Ruolo e funzione dei competence center” – che mira ad aprire un aprire un dibattito su un capitolo centrale del piano Calenda, quello della formazione e delle skill. Dibattito che, nei prossimi mesi, porterà i promotori ad incontrare imprese, università, centri di ricerca e scuole. Gli incontri frutteranno l’elaborazione di linee guida per la redazione di un Libro Bianco da presentare al governo il prossimo settembre. Dell’iniziativa parliamo con Francesco Seghezzi, direttore di Adapt University Press.
Come nasce l’iniziativa del Libro Verde?
L’intenzione è quella di dare il nostro contributo a un piano che ancora tutto da costruire. Fatta eccezione per qualche misura inserita in legge di Bilancio, la via italiana a Industria 4.0 per ora è fatta solo di slide. Per questo motivo abbiamo pensato che ci fossero margini ampi per poter contribuire alla sua realizzazione, soprattutto sul fronte delle skill. Grazie alla collaborazione con la Fim, inoltre, abbiamo anche una visione privilegiata “dentro” il mondo dell’industria.
Cosa non vi convince dei competence center, così come disegnati dalle slide di Calenda?
In realtà il fatto di dedicare ampio spazio al tema della formazione è un valore aggiunto. Quello che temiamo è che questi centri diventino una scusa per finanziare le università, senza che queste risorse abbiano ricadute sullo sviluppo industriale e sull’occupazione.
Qual è la vostra idea di competence center?
Nel Libro Verde intendiamo questi centri come dei veri e propri hub della conoscenza, costruiti non su base territoriale ma sulla base della specializzazione tematica. Abbiamo in mente realtà in grado di coinvolgere tutti gli attori che possono aiutare, a partire dalle università e dai centri di ricerca fino ad arrivare alle istituzioni locali, alle agenzie per il lavoro e ai sindacati. La nostra proposta prova a cambiare l’approccio alla formazione di nuove skills.
In che modo?
Siamo convinti che le competenze non si debbano costruire in modo unilaterale – dalle università all’industria, ad esempio – ma che la stessa esperienza del lavoro ne possa generare di altre ad alto valore aggiunto. Ecco perché non è possibile immaginare le università come centri autonomi nei quali i competence center si organizzino fornendo alle imprese servizi e persone: verrebbe a mancare l’incontro tra tutti gli attori, più che mai necessario.
Ha detto che i competence center non devono svilupparsi su base territoriale. Eppure l’Italia è caratterizzata da distretti locali molto forti…
Industria 4.0 rompe il paradigma dei distretti e delle specificità territoriali. I centri, così come li immaginiamo, dovranno ridurre al minimo le strutture fisiche potenziando quelle virtuali per permettere ai player interessati, a livello nazionale, di usufruire del supporto in una specializzazione particolare. Centrale dovrà essere anche il rapporto con gli altri centri fuori dall’Italia.
Che governance immagina per questi competence center?
A livello territoriale, laddove viene individuato il centro dell’hub è importante che la gestione sia libera dai veti di player locali, pubblici o privati che siano. Una modalità potrebbe essere quella di introdurre figure simili ai prefetti a fare da collegamento tra i vari attori per favorire il funzionamento corretto dell’hub stesso, nel pieno rispetto delle autonomie di università, imprese ed altri soggetti. La sfida dei competence center è un pilastro portante di quella che può, con l’aiuto di tutti, diventare una scelta strategica e a lungo termine per il nostro paese. Gestirla con strumenti e logiche vecchie sarebbe il miglior modo per affossarla sul nascere.