Le associazioni dell’e-commerce: “La direttiva Ue affossa il settore”

Le organizzazioni che raccolgono gli operatori del commercio elettronico di Francia, Italia e Regno Unito contro il provvedimento varato da Strasburgo: se passa, spese aggiuntive per 10 miliardi sulle spalle dei clienti

Pubblicato il 18 Apr 2011

Le principali associazioni europee del commercio elettronico di
Francia, Regno Unito e Italia sono scese in campo contro la recente
direttiva del Parlamento europeo, emanata in difesa dei
consumatori. Nel dettaglio, la francese Fevad (Fédération
e-commerce et Vente à Distance), l’inglese Imrg (Interactive
Media in Retail Group) e l’italiana Netcomm (Consorzio del
commercio elettronico italiano) chiedono a gran voce ai rispettivi
Governi di non sottoscrivere la proposta di Strasburgo e di
invitare le Autorità centrali a consultare gli organi di
rappresentanza del settore nei vari Paesi prima di legiferare in
materia.

Lo scorso 24 marzo il Parlamento europeo ha approvato una serie di
misure nell’ambito di una direttiva sui "Diritti dei
Consumatori" che, secondo le associazioni di e-commerce,
"rischiano non solo di minare alla base l’esistenza stessa
del settore in Europa, ma anche di generare una pericolosa spirale
inflazionistica sui prezzi dei prodotti venduti online".

Gli articoli della direttiva europea sotto
accusa:

Articolo 22a, libertà di contratto – Secondo
questa proposta i siti di e-Commerce avranno l’obbligo di
consegnare in tutta Europa. In tal modo una piccola realtà che
decidesse di aprire un sito in Italia o in uno qualsiasi degli
altri Paesi dell’Ue, avrebbe l’obbligo fin dall’inizio di
prevedere un sistema di pagamento con 7 valute differenti, un
sistema di traduzione in 25 lingue e dei contratti di spedizione in
27 Paesi. "Si tratta di una complicazione che avrebbe come
risultato immediato il freno di qualsiasi iniziativa
imprenditoriale e l’uccisione sul nascere di qualsiasi start up
online – attacca Netcomm – In un momento di crisi come quello che
stiamo attraversando questo peserebbe enormemente sull’aumento
della disoccupazione e, indipendentemente da ciò, non
consentirebbe alle aziende di decidere liberamente a quali mercati
rivolgersi sulla base del proprio modello di business, limitando al
massimo la libertà imprenditoriale".

Articolo 12, diritto di recesso – Nei Paesi
europei oggi il consumatore ha tra 7 e 10 giorni (in Italia 10) per
cambiare idea e restituire un prodotto integro e non utilizzato,
ottenendo da parte del venditore il rimborso del costo del
prodotto. "La nuova direttiva introdurrebbe un ampliamento
considerevole dei tempi per effettuare il reso, consentendo di
effettuare la notifica entro 14 giorni e la restituzione entro i
successivi 14 – continua Netcomm – In totale si quadruplica o
trilpica, a seconda dei Paesi, il tempo per restituire il prodotto,
lasciando quasi un mese di tempo (28 giorni) per esercitare questo
diritto. Questo emendamento potrebbe avere serie conseguenze per i
business online e potrebbe incoraggiare i consumatori a ordinare un
numero maggiore di prodotti rispetto a quanti ne intendono comprare
con effetti negativi non solo in termini di costi aggiuntivi per i
venditori online, ma anche di forte aumento dell’impatto
ambientale, generato dall’incremento del numero di viaggi di
andata e ritorno dei corrieri per la consegna e il ritiro dei
prodotti".

Articoli 16 e 17, diritto di recesso – Il sito di
e-commerce è tenuto al rimborso del consumatore entro 14 giorni e
non più entro i 30 prima consentiti. "Questo può generare
l’assurda situazione di dover rimborsare il bene prima di
riceverlo indietro e quindi non avendo la possibilità di
verificare che il prodotto sia integro, non utilizzato e uguale a
quello spedito – chiude Netcomm – Inoltre per gli ordini superiori
a 40 euro, l’azienda è tenuta a rimborsare anche le spese di
reso. Questo notevole aggravio per i venditori mina alla base la
sopravvivenza di molti di loro, generando anche il rischio di un
conseguente aumento dei prezzi su Internet".

"In primo luogo è assurdo che il Parlamento europeo legiferi
in materia di e-commerce senza avere sentito nessuna delle
associazioni di riferimento del settore nei vari Paesi europei –
dice Roberto Liscia, presidente di Netcomm,
Consorzio del Commercio Elettronico Italiano – Da un consulto con
loro emerge questo dato di fatto che sarebbe già grave in
assoluto. Lo diventa ancora di più, leggendo nel dettaglio i
contenuti della proposta di direttiva che non pare certamente
elaborata da persone che conoscono in profondità la complessità
di questo settore. Da un’analisi condotta sulla base dei dati
forniti dalle associazioni di categoria europee che rappresentano
circa il 50% del comparto, l’incremento dei costi di trasporto
che si genererebbero se questa direttiva passasse, ammonta a circa
10 miliardi di euro. Ad oggi, infatti, i costi di trasporto
dell’e-Commerce europeo valgono circa 5,7 miliardi di euro. Con
la nuova legislazione salirebbero a 15,6 miliardi. Questi
emendamenti provenienti dall’Europa sono i più devastanti mai
proposti in materia di commercio elettronico. Oltre a non essere
necessari, genererebbero un incremento dei costi che ricadrebbe
inesorabilmente su un peggioramento dei prezzi per i consumatori.
Molte Pmi italiane ed europee si vedrebbero costrette a chiudere e
molte start up addirittura a non nascere in un momento in cui la
forza e la vitalità imprenditoriale è più necessaria che mai per
portare l’Italia e l’Europa fuori da una crisi fortissima che
ha lasciato pesanti segni e dalla quale ancora non siamo del tutto
usciti. In Italia, poi, la gravità sarebbe ancora più evidente se
si pensa che solo da poco tempo si sta recuperando il terreno
perduto e mai come oggi si respira un fermento imprenditoriale che
non può fare che bene al settore e all’intero sistema
Paese".

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