IL RAPPORTO

Sharing economy, occasione Italia: la partita vale oltre un punto di Pil

L’Università degli Studi di Pavia stima in 3,5 miliardi il giro d’affari del settore. Fra 10 anni potrebbe valere fino 25 miliardi. A guidare la crescita sarà la carica dei Millenials

Pubblicato il 01 Feb 2017

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La sharing economy italiana nel 2015 ha generato 3,5 miliardi di giro d’affari. Già questo dato, contenuto nella ricerca realizzata dall’Università degli Studi di Pavia e commissionata da Phd Italia, basta da solo a capire quanto l’economia della condivisione abbia già conquistato un peso rilevante nella nostra quotidianità. Ma sapere che secondo la stima più ottimistica potrebbe valere nel 2025 anni fino a 8 volte tanto, circa 25 miliardi, rende l’idea della crescita potenziale di questo settore dall’anima digitale.

Dai casi eclatanti di Uber e AirBnb fino a quel nutrito gruppo di piattaforme meno globali, la sharing economy sta prendendo piede anche in Italia. I 3,5 miliardi di euro, spiega l’Università di Pavia, sono stati realizzati da 11,6 milioni di utenti. Una platea destinata ad ampliarsi e, proprio da questo sviluppo e dai suoi tempi, dipende la crescita del mercato il cui valore potrebbe attestarsi nel 2025 tra i 14 e i 25 miliardi, tra lo 0,7% e l’1,3% del Pil.

Questo trend, sostiene Gianluca Diegoli di Smau, corrisponde con l’entrata nella vita economica e produttiva della generazione dei millennials: “L’87% dei millennials è mobile first, lo smartphone è sempre con loro e diventa quindi il principale canale per entrare in contatto con loro 24 ore su 24”. L’economia della condivisione, sottolinea Smau in un dossier dedicato al tema sharing economy, si fonda appunto sul riuso, sul riutilizzo e sulla condivisione: “Utilizzando le tecnologie per creare un modello di economia circolare, in cui professionisti, consumatori e cittadini in generale mettono a disposizione competenze, tempo, beni e conoscenze, si riesce a far nascere stili di vita nuovi che riescono a favorire il risparmio o ridistribuzione del denaro, la socializzazione e la salvaguardia dell’ambiente”.

In Italia, rileva l’ultimo rapporto Eurispes, l’espansione del più generale settore dell’economia della condivisione online è frenata da un problema che ci trasciniamo da tempo: la scarsa diffusione del digitale (il 37% non usa Internet e il 63% che lo usa saltuariamente e con operazioni non complesse) e la scarsa propensione all’innovazione delle piccole e medie imprese. Nella penisola nostrana operano comunque diverse imprese nel settore generale della sharing economy e, di queste, il 17% è focalizzato nel settore turistico. Fra 2014 e 2016 le piattaforme sono cresciute da 97 a 138 del 2016, ma i ricavi sono rimasti fermi. Segno che l’interesse imprenditoriale nei confronti del mercato sharing cresce, ma tramutarlo in iniziative di sviluppo economico è un’altra storia.

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