“È meglio nessuna legge che una cattiva legge. Questa buona regola va applicata al ddl sul lavoro autonomo e agile, già approvato dal Senato ed ora all’esame della Camera”. Lo ha scritto Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato, nel blog dell’Associazione amici di Marco Biagi.
“In particolare, il lavoro agile non può dipendere da un contratto collettivo e, in assenza di esso, essere impraticabile. Giorno dopo giorno le tecnologie digitali cambiano i lavori e sarebbe paradossale ogni inibizione al cambiamento perché incoraggerebbe solo la sostituzione degli uomini con le macchine – spiega Sacconi – Come, soprattutto in Italia, è già accaduto con le macchine utensili a causa della regolazione pesante del lavoro. Così come la volontà di alcuni settori della maggioranza di cancellare le norme relative alle professioni ordinistiche toglie una significativa parte della utilità del provvedimento”.
“Quanto infine ai voucher, la bella idea sarebbe quella di limitare i voucher alle famiglie e ai disoccupati, pensionati, inabili in cura presso comunità – conclude il senatore – Non si comprende se gli stessi insegnanti per ripetizioni a domicilio, esplicitamente citati nella proposta, debbano avere queste caratteristiche. E in ogni caso che ne sarà di tutti gli altri spezzoni lavorativi posto che non si vogliono nemmeno liberalizzare i contratti a chiamata? Meglio il referendum che una pessima norma”.
Sulla necessità di evitare a tutti i costi irrigidimenti normativi, è intervenuta sul nostro giornale anche Laura Di Raimondo, direttore di Assitel. “La disciplina dedicata al lavoro agile deve saper accompagnare i nuovi scenari che si stanno definendo nel mondo del lavoro attraverso la diffusione delle nuove tecnologie digitali. Per questo occorre un’impostazione normativa capace di interpretare in senso intelligente e senza irrigidimenti le caratteristiche essenziali dello smart working: autonomia e flessibilità – sottolinea Di Raimondo – Chiaramente molto lavoro va svolto all’interno delle aziende con investimenti in formazione, sia dei lavoratori che del management. Altro elemento non secondario è quello legato alla trasformazione degli spazi fisici, che dovranno essere progettati con postazioni non assegnate per favorire la comunicazione, la condivisione di idee e il lavoro in collaborazione tra gruppi, ma anche con postazioni che permettono il lavoro individuale come locali dedicati alle telefonate”.
Secondo le stime di Federmanager, se le aziende e gli enti pubblici italiani facessero ricorso al telelavoro in percentuale analoga alla media europea, i risparmi sarebbero nell’ordine di 4 miliardi di euro. Lo smart working, per Guelfo Tagliavini, coordinatore nazionale della Commissione Industria 4.0 di Federmanager “non è semplicemente uno strumento che consente di conciliare meglio i tempi di lavoro con le esigenze personali e familiari, ma è una modalità organizzativa per migliorare la produttività aziendale”.