A fronte della crescente presenza nel web delle aziende della moda e del lusso e della loro apertura all’e-commerce o comunque al commercio ibrido, si assiste in questi anni ad una forte ripresa del fenomeno del cybersquatting o domain grabbing nelle sue varie declinazioni. Per cybersquatting si intende la registrazione di nomi a dominio che comprendono in tutto o in parte un nome, un marchio o un altro segno distintivo altrui, attuata senza il consenso dell’avente diritto. Si tratta di una pratica illecita che può costituire una minaccia per il titolare del marchio sia quando il sito viene utilizzato per vendere prodotti contraffatti sia quando, come spesso avviene, è utilizzato come parking page per ospitare link a pagamento (c.d. pay per click). Lo scopo è di sfruttare la notorietà e la capacità attrattiva del marchio per vendere prodotti o servizi contraffatti oppure anche solo per dirottare il traffico internet distogliendolo dal sito originale oppure infine per offrire il dominio in vendita al titolare del nome, del marchio o dell’altro segno distintivo.
Il fenomeno, nato all’indomani dello sviluppo di Internet, ha avuto una ripresa negli ultimi anni anche grazie all’arrivo dei nuovi Top-Level Domains generici: si stima che dal 2012 ad oggi siano divenuti operativi circa 1200 nuovi domini generici; tra questi, i più ambiti nel mondo della moda e del lusso sono .LUXURY, .FASHION, .SHOP e .VIP.
Il settore della moda è peraltro uno dei più colpiti, data la particolare forza attrattiva dei marchi e dei segni distintivi delle aziende che operano in questo campo. Il fenomeno, oltre che pregiudicare i diritti delle aziende titolari dei marchi, provoca un inganno per i consumatori.
Qualche esempio? Si pensi all’ipotesi che qualcuno, magari residente in Cina o negli Stati Uniti, registri il nome a dominio corcomnews.org e utilizzi il corrispondente sito per trasmettere notizie o altri servizi giornalistici oppure per ospitare a pagamento link a siti terzi e questi siti terzi siano siti di altre testate in concorrenza con il Corriere delle Comunicazioni, siti che forniscono prodotti o servizi dei più disparati ai quali però Corriere delle Comunicazioni non vorrebbe essere accostata. Corriere delle Comunicazioni in questo caso non solo vedrebbe occupato uno spazio sulla rete ma assisterebbe ad un indebito sfruttamento del proprio marchio con rischio di grave pregiudizio alla propria immagine e reputazione commerciale.
La fantasia dei cybersquatter ha mostrato di essere particolarmente fervida e così, quando il dominio corrispondente al marchio è già registrato dall’avente diritto, si ricorre alla registrazione di nomi a dominio che contengono, oltre al marchio, altre parole generiche, come nell’esempio sopra riportato, oppure parole che costituiscono il frutto dei più frequenti errori di battitura del marchio; si parla in questi casi di typosquatting. Un esempio tra i domini di recente riassegnazione: “sawtchgroup.com” anziché “swatchgroup.com”.
Il riscorso ai servizi di privacy forniti dagli enti di registrazione, cioè a quei servizi che permettono la schermatura dei dati personali del titolare del dominio, rende ancor più difficile l’identificazione dell’autore dell’illecito.
Cosa fare per reagire a queste pratiche illecite? Oltre al ricorso all’autorità giudiziaria – soluzione che, tuttavia, in alcuni casi può rivelarsi costosa (si pensi ad esempio ai casi in cui l’autore dell’illecito non è facilmente identificabile oppure risiede all’estero), le procedure alternative di soluzione dei conflitti tra marchi e domain names sono strumenti molto efficaci mediante i quali ottenere, a costi e in tempi contenuti, il trasferimento in capo al titolare del diritto dei nomi a domini illecitamente registrati. I numeri dell’ultimo report di WIPO (organizzazione mondiale della proprietà intellettuale che gestisce uno dei principali centri di risoluzione di tali dispute, il WIPO Arbitration and Mediation Centre) mostrano una continua crescita delle procedure di riassegnazione che nel 2016 sono aumentate del 10% rispetto all’anno precedente, con un totale di 3036 procedimenti e 5374 nomi di dominio contestati.
L’Italia si colloca al sesto posto nella graduatoria dei Paesi di provenienza delle parti coinvolte nelle procedure di riassegnazione, essendo state 123 le dispute che nel 2016 hanno visto il coinvolgimento di soggetti italiani e il numero è in crescita.
Il continuo incremento del cybersquatting evidenzia la necessità da parte delle aziende innanzitutto di una prevenzione, mediante l’adozione di un’accurata strategia di registrazione dei propri domini che preveda ad esempio la registrazione di domini c.d. difensivi ma anche di una continua vigilanza della rete e di una immediata reazione alle eventuali usurpazioni.