“La sicurezza non è un ‘concetto’ che può essere garantito. Abbiamo bisogno di un approccio più ampio per pensare alla sicurezza e abbiamo bisogno di persone con una varietà di background e formazione”. Questa la vision di Laura Galante, super esperta di cybersecurity e nonresident senior fellow nell’ambito della “Cyber Statecraft Initiative” dell’Atlantic Council’s Brent Scowcroft Center on International Security. In visita in Italia, Galante in un’intervista a CorCom spiega le sfide prossime venture che attendo governi e imprese.
Galante, per garantire la cybersecurity c’è dunque bisogno di competenze. Qual è lo stato dell’arte?
I governi stanno affrontando due importanti sfide in questo settore: la prima riguarda la messa a punto di approcci di sicurezza sufficientemente flessibili da identificare anche per comunicare una serie di minacce. La seconda sfida è quella dell’enorme richiesta di individui formati nel settore privato. E a tal proposito bisognerà fare i conti con la differenza salariale tra il settore pubblico e quello privato.
Nelle scorse settimane è scoppiato il “caso” cinese, ossia quello che riguarda la security delle soluzioni di aziende quali Huawei e Zte. Cosa ne pensa?
La catena di approvvigionamento globale, presente in quasi tutti i settori, presenta numerose sfide alla sicurezza. Anche se non è possibile evitare in toto i rischi della catena di approvvigionamento, è importante che le aziende e il governo comprendano il rischio, anche solo potenziale, legato agli acquisti tecnologici.
Secondo lei ci sono soluzioni che più di alter possono garantire la sicurezza?
A livello macro, penso che le società tecnologiche siano molto più consapevoli dei rischi per la sicurezza, sia in termini tecnici sia psicologici. Il dialogo che è iniziato come conseguenza dell’interferenza del governo russo nella politica statunitense, si traduce in un ripensamento degli obiettivi degli strumenti, come ad esempio i social media, dai quali dipendiamo in modo così rilevante.