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Cybesecurity, l’Onu approva la prima convenzione contro i crimini informatici



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Il trattato mira a rafforzare la cooperazione internazionale con un focus particolare sulla pornografia infantile online e il riciclaggio di denaro. Ora la palla passa all’Assemblea per l’ok definitivo. Ma le big tech e le associazioni per i diritti umani lanciano l’allarme sul rischio di sorveglianza globale

Pubblicato il 9 ago 2024



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Gli stati membri dell’Onu hanno approvato un trattato contro la criminalità informatica, il primo del suo genere nella storia dell’organismo sovranazionale. Dopo tre anni di negoziati – e nonostante la forte opposizione degli attivisti per i diritti umani che avevano messo in guardia da uno strumento di sorveglianza globale – la Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità informatica ha ricevuto il prima via libera, e ora verrà sottoposta all’Assemblea generale per l’adozione formale.

“Ritengo che i documenti (…) siano adottati. Grazie mille, bravi tutti”, ha detto tra gli applausi Faouzia Boumaiza Mebarki, presidente del comitato intergovernativo creato nel 2019 per elaborare il trattato su proposta della Russia. Il nuovo trattato, che potrà entrare in vigore dopo essere stato ratificato da 40 Stati, mira a “combattere più efficacemente la criminalità informatica” e a rafforzare la cooperazione internazionale in questo settore, citando in particolare le immagini di pornografia infantile o il riciclaggio di denaro.

Le critiche delle associazioni per i diritti umani e delle big tech

Ma i detrattori del documento approvato, un’insolita alleanza tra difensori dei diritti umani e grandi aziende tecnologiche, denunciano una portata troppo ampia che, secondo loro, lo renderà un trattato di “sorveglianza” globale. Il testo adottato prevede che uno Stato possa, per indagare su qualsiasi reato punibile con almeno quattro anni di reclusione ai sensi della propria legislazione nazionale, richiedere alle autorità di un altro Stato qualsiasi prova elettronica collegata a tale reato e richiedere inoltre l’accesso ai dati a un provider internet. I difensori dei diritti umani temono in particolare che il testo venga utilizzato da stati che criminalizzano l’omosessualità o da governi che attaccano dissidenti o giornalisti.

Sarà “una catastrofe per i diritti umani ed è un momento buio per le Nazioni Unite”, ha detto all’Afp Deborah Brown di Human Rights Watch, descrivendo uno “strumento di sorveglianza multilaterale senza precedenti che “può essere usato per reprimere giornalisti, attivisti, persone Lgbt, liberi pensatori e altri, oltre confine”.

In questo contesto, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva espresso serie riserve sul testo, invitando questa settimana gli Stati a “garantire che i diritti umani siano al centro della Convenzione. “I difensori dei diritti, i ricercatori e i bambini non dovrebbero temere la criminalizzazione delle attività protette”, ha aggiunto su X.

Sebbene vi sia consenso sulla lotta alla pornografia infantile e allo sfruttamento sessuale dei bambini, alcuni osservatori sono preoccupati per la possibile criminalizzazione dei selfie intimi o delle immagini scattate da un minore durante un rapporto sessuale consensuale.

“Sfortunatamente, (il comitato) ha adottato una convenzione senza affrontare molti dei principali difetti individuati dalla società civile, dal settore privato e persino dall’organismo delle Nazioni Unite per i diritti umani”, ha denunciato Nick Ashton-Hart, che guidava la delegazione delle aziende specializzate in Cybersecurity. “Pensiamo che gli Stati non debbano firmare o applicare questa convenzione”.

Per alcuni Paesi il documento è “saturo di garanzie”

Alcune delegazioni ritengono, al contrario, che il trattato dia troppo spazio ai diritti umani. La Russia, storica sostenitrice di questo processo, ha deplorato pochi giorni fa un trattato “più che saturo di garanzie legate ai diritti umani”, accusando alcuni Paesi di “perseguire obiettivi meschini ed egoistici sotto la copertura dei valori democratici”.

Durante la sessione di approvazione del testo, l’Iran ha cercato di eliminare diverse clausole che presentavano “difetti significativi”. Uno dei paragrafi in questione sottolinea in particolare che “nulla della presente Convenzione deve essere interpretato nel senso di consentire la repressione dei diritti umani o delle libertà fondamentali”: libertà di espressione, di coscienza, di opinione, di religione, di associazione. Ma la richiesta di cancellazione è stata respinta con 102 voti contrari, 23 favorevoli (tra cui Russia, India, Sudan, Venezuela, Siria, Corea del Nord, Libia) e 26 astensioni. Né l’Iran né nessun altro Paese, tuttavia, hanno scelto di impedire l’approvazione per consenso.

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