Quando si tratta di proteggere la propria identità digitale, la sicurezza viene prima della praticità, soprattutto se in ballo ci sono applicazioni legate al denaro. E’ quanto emerge dallo studio su scala mondiale “Future of identity” realizzato da Ibm security, secondo il quale saranno le scelte dei millennial a segnare il successo dell’autenticazione biometrica e di quella a più fattori rispetto all’utilizzo delle password. Il 67% degli intervistati ha detto di sentirsi oggi a proprio agio nell’utilizzare l’autenticazione biometrica, mentre l’87% dichiara che utilizzerà volentieri queste tecnologie in futuro.
Per l’occasione sono stati intervistati 4.000 adulti provenienti da Usa, Asia-Pacifico ed Europa. Nel complesso, emerge dalla ricerca, gli intervistati riconoscono i vantaggi che le tecnologie biometriche – come i lettori di impronte digitali, le scansioni facciali e il riconoscimento vocale – hanno rispetto alla continua crescita delle minacce informatiche alle identità digitali.
Restringendo il quadro al nostro Paese, lo studio evidenzia che oggi gli italiani tendono a utilizzare un numero maggiore di password diverse: ne usano in media undici, come i tedeschi, rispetto alle 9 dei cittadini britannici e francesi, e le otto degli spagnoli. Il 39% degli italiani, inoltre, è propenso a utilizzare un gestore di password: un numero più alto della media europea, che si ferma al 25%. Stesso trend nella sicurezza delle app bancarie e di investimento, altro caso in cui l’Italia si piazza al di sopra della media UE (81% contro il 72% comunitario), proprio come avviene nell’e-commerce (65% contro il 57% Ue) e per e app di lavoro (60% contro il 52% Ue). Tra le tecnologie preferite dagli italiani si piazza al primo posto l’impronta digitale (74% contro il 67% Ue), l’impronta delle mani (62% contro il 54%), riconoscimento facciale (53% contro 46%) e riconoscimento vocale (53% contro 46%).
Tornando al quadro generale, l’autenticazione biometrica ha trovato terreno più fertile nei paesi asiatici, mentre gli Stati Uniti, secondo lo studio, hanno mostrato di essere parecchio indietro in queste aree.
“In seguito alle numerose violazioni di dati personali altamente sensibili, non c’è più alcun dubbio che le stesse informazioni che abbiamo utilizzato in passato per dimostrare la nostra identità online sono ora un segreto condiviso nelle mani degli hacker – afferma Limor Kessem, executive security advisor in Ibm Security – Poiché i consumatori riconoscono l’inadeguatezza delle password e attribuiscono una maggiore priorità alla sicurezza, i tempi sono maturi per adottare metodi più avanzati in grado di dimostrare l’identità digitale su più livelli e di essere adattati in base al comportamento e al rischio”.