Secondo Joe Biden, la Cina avrebbe non solo protetto ma anche aiutato i responsabili degli attacchi hacker contro Microsoft. Il presidente degli Stati Uniti ha lanciato l’accusa nel corso di una conferenza stampa alla Casa Bianca, indicando formalmente il governo cinese di aver avuto una parte nella violazione dei sistemi di posta elettronica di Redmond.
Biden ha spiegato che gli Stati Uniti non hanno ancora imposto sanzioni contro la Cina per gli attacchi informatici (come accaduto contro la Russia nel caso di SolarWinds) in quanto le indagini sono ancora in corso. Inoltre, per l’appunto, le dinamiche sarebbero leggermente diverse. “Da quel che capisco, il governo cinese, in maniera non dissimile da quello russo, non ha condotto l’attacco direttamente, ma ha protetto chi lo ha fatto e forse lo ha anche aiutato. Questa potrebbe essere la differenza”, ha detto Biden. La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha aggiunto che l’amministrazione ha “tutto il diritto di prendere provvedimenti. Non resteremo fermi, non permetteremo che motivazioni economiche o altre considerazioni ci impediscano di reagire”. La portavoce ha inoltre assicurato che non ci sarà differenza di trattamento tra questo attacco, di cui la Cina è accusata di corresponsabilità, e quelli attribuiti ad hacker di base in Russia nei mesi scorsi.
La presa di posizione dei Paesi Nato
L’imputazione del pesante attacco informatico contro il software di posta elettronica di Microsoft, le cui vulnerabilità erano state divulgate lo scorso marzo, giunge in concomitanza con una condanna congiunta che arriva da Stati Uniti, Nato e altri Paesi alleati degli Usa, a partire dal Giappone, che accusano in coro la Cina per gli attacchi informatici imputati ad attori di Stato. “Gli Stati Uniti e i Paesi del mondo pongono la Repubblica Popolare Cinese di fronte alla sua responsabilità per una condotta irresponsabile, distruttiva e destabilizzante nel cyberspazio, che pone una grave minaccia alla nostra sicurezza economica e nazionale”, si legge in un comunicato del segretario di Stato americano, Antony Blinken. Dominic Raab, ministro degli Esteri britannico, ha dichiarato che l’attacco all’Exchange Server di Microsoft da parte di hacker affiliati al governo cinese rappresenta una “linea d’azione sconsiderata ma familiare”, e ha chiesto al governo cinese di porre fine alle attività di “sabotaggio informatico sistemico”. Il governo giapponese ha espresso “forte sostegno” alla denuncia degli Stati Uniti, del Regno Unito e di altri Paesi della Nato, manifestando la propria “determinazione a tutelare il sistema internazionale basato sulle regole nel cyberspazio”. Una nota congiunta dei 30 Paesi membri della Nato sollecita infine “tutti gli Stati, inclusa la Cina, a rispettare i loro impegni e obblighi internazionali e ad agire responsabilmente all’interno del sistema internazionale, incluso il cyberspazio”.
La risposta della Cina
La Cina però ha negato ogni responsabilità nell’attacco che ha preso di mira i server Microsoft, per voce dell’Ambasciata in Nuova Zelanda, che ha giudicato “infondate e irresponsabili” in questo senso le accuse lanciate ieri da Washington e dai suoi alleati. Dopo che Wellington ha aggiunto la propria posizione al coro di critiche mosse contro Pechino da diverse capitali occidentali, l’Ambasciata cinese ha attaccato nello specifico la Nuova Zelanda, condannando un atto ‘di calunnia maligna’.
Senza nominare direttamente i propri antagonisti, la missione diplomatica cinese nell’Unione Europea, parla invece di “massicce e indiscriminate” attività di spionaggio “anche a danno dei suoi stretti alleati. Allo stesso tempo”, recita il comunicato, questo Paese “si vanta di essere il guardiano della sicurezza informatica, ha tentato di manipolare e spingere i suoi alleati a formare piccoli circoli e ha ripetutamente infangato e attaccato altri Paesi sulle questioni di sicurezza informatica. Simili pratiche mettono pienamente in mostra la sua ipocrisia e la sua doppia morale”.
La Cina, che si definisce essa stessa vittima di cyber-attacchi, chiede che la questione sia affrontata dalla comunità internazionale. “La politicizzazione e lo stigma”, conclude la nota, “non fanno del bene nella risoluzione delle questioni dei problemi di sicurezza informatica, ma indeboliscono la fiducia e la cooperazione reciproca”.